Il richiamo del presidente Mattarella alla tragica vicenda che sta avendo luogo in Ucraina non è un semplice, e pur necessario e doveroso tributo di attenzione e condivisione per una grande tragedia. È lo svolgimento ulteriore di una riflessione sulla nostra storia che il Presidente sta svolgendo con vera passione a partire dal suo intervento all’università di Marsiglia. Naturalmente non c’è nessuna “russofobia” nelle sue parole, ma una amara considerazione su un tornante drammatico che stanno vivendo il mondo e l’Europa in particolare: quel ritorno alla politica di potenza in cui gli stati vogliono essere temuti per la violenza che sono in grado di mettere in campo, piuttosto che ammirati per la loro capacità di mostrare quanto si possa procedere sulla via dello sviluppo e della convivenza equilibrata.
Quella via, lo ricorda il presidente, era stata segnata dall’evoluzione dell’Europa a partire dalla Rivoluzione dell’illuminismo (per quanto contorta e con contraddizioni, aggiungiamo noi), ma era sembrata diventare via maestra dopo la seconda guerra mondiale, anche qui al netto di crisi anche gravi: e il richiamo alla crisi del blocco sovietico di Berlino nel 1948, con il momento della crisi dei missili a Cuba nel 1962, ma anche con la svolta degli accordi di Helsinski del 1975 e infine l’emblematico crollo del muro di Berlino sono passaggi forti della lezione di Mattarella.
Ma perché quanto sta avvenendo in Ucraina diventa emblematico tanto della crisi della cultura dell’equilibrio geopolitico quanto della forza che nonostante tutto ancora è presente nella cultura politica europea? La risposta sta in un fatto inoppugnabile: in tre anni e più di guerra la volontà di potenza e l’assalto al potere mondiale della Russia entrata nel vortice del neo imperialismo non ha raggiunto l’obiettivo di cancellare quella che credeva e voleva fosse una anomalia storica, cioè una Ucraina indipendente e con una coscienza nazionale.
A dispetto di una disparità di forze e di risorse che secondo tanti saputelli analisti avrebbe dovuto rendere inevitabile la vittoria dei russi, l’Ucraina non solo resiste, ma vive: ed è questo che scatena la reazione di Mosca. Sul fronte militare la situazione dell’esercito dello zar può anche registrare successi e avanzate, come ci dicono quotidianamente gli amici italiani di Putin, ma nonostante ciò il paese aggredito continua a vivere. La guerra russa contro gli ex “cosacchi dello zar” (che peraltro erano solo un pezzo della storia precedente) da quasi subito ha preso le forme di una guerra terroristica, dove l’attacco ai civili e alle strutture che garantiscono la loro vita (energia, riscaldamento, rifornimenti, ecc.) è sempre stato ampiamente praticato. Da ultimo però queste modalità sono state intensificate, con distruzioni e morti che troppo spesso sono diventati nella comunicazione dei media più o meno annunci di routine.
Tutto questo però non ha impedito e non impedisce che in Ucraina si viva alla ricerca, ma anche nella pratica di una normalità che si esercita non appena si può uscire anche momentaneamente dall’emergenza della pioggia di droni esplosivi e di missili sempre più sofisticati riversati a valanga dal terrorismo militare moscovita. Nonostante tutto il sistema politico di Kiev tiene, registra anche una certa dialettica interna con pluralità di figure politiche, permette manifestazioni di piazza come di recente per l’infelice decisione di Zelenski di indebolire la lotta alla corruzione, vede i cittadini costruirsi una vita con prospettive di futuro.
Come è possibile tutto questo? Certo il supporto militare che è stato dato dagli americani soprattutto fino ad un certo punto della guerra (dopo che, non dimentichiamolo, inizialmente avevano creduto al successo rapido dell’operazione militare speciale russa) così come quello europeo sempre in quel campo hanno avuto un peso determinante. Ma ancor più lo riveste la scelta dell’Europa (UE + Gran Bretagna) di avere compreso che la resistenza ucraina era un pezzo della svolta storica che essa era riuscita ad esercitare nel Novecento e che proprio per questo non le andava offerto solo un supporto, ma una prospettiva di futuro.
Putin con i suoi cattivi consiglieri ha scommesso sulla decadenza dell’Europa, e più ancora della sua base culturale che credeva ormai corrotta dalle angosce verso la transizione che deve affrontare. Sta dovendo verificare che quella crisi, che indubbiamente per certi aspetti non si può negare, non è tale da avere dissolto la consapevolezza di cosa significherebbe lasciar campo libero a quelli che vorrebbero la dissoluzione dell’Occidente.
Ecco perché, come ha detto Mattarella con grande acutezza, la vicenda ucraina “ha cambiato la storia dell’Europa”. Averne contezza è indubbiamente per noi europei, per le nostre classi dirigenti, un carico oltre che una responsabilità. Nonostante il peso e le difficoltà che comporta non ci si può però tirare indietro, a dispetto del “disorientamento delle opinioni pubbliche” (parole sempre del Presidente): è in gioco il futuro. Gli ucraini sono diventati la prima linea di questo scontro sul nostro futuro, e devono essere sostenuti nel loro sacrificio dalla consapevolezza che di questo l’Europa è consapevole e che grazie al loro impegno entreranno a pieno titolo a far parte di quel mondo in cui si tornerà, come auspica Mattarella, a voler competere per essere ammirati per lo sviluppo della civiltà e non temuti perché si è deciso di tornare alla barbarie dei conflitti di potenza.