Arrivano in treno dalla Polonia, dopo un viaggio che attraversa l’Ucraina in guerra, sotto il tiro delle artiglierie e dei caccia russi. Segreti l’orario e il percorso. La conferma della missione data solo la sera prima, ai presidenti di Consiglio e Commissione europei, Michel e Von der Leyen. È così che il premier polacco, Mateusz Morawiecki, e i colleghi di Repubblica Ceca e Slovenia, Petr Fiala e Janez Jansa, hanno deciso di essere fisicamente vicini e condividere i rischi bellici con il presidente ucraino Zelensky, direttamente nel suo bunker.
Una missione, quella di ieri a Kiev, che potrebbe aprire una piccola crepa nell’unità dei Paesi europei, e segnala la differenza tra Stati che vorrebbero un coinvolgimento maggiore della Ue e della Nato nel conflitto, e altri che invece rispettano la linea rossa che non va superata per evitare l’allargamento del conflitto. Il vice primo ministro polacco, Yaroslav Kaczynski, lo dice chiaramente: «Serve una missione di mantenimento della pace, della Nato o con una composizione internazionale ancora più ampia, che operi sul territorio dell’Ucraina» per portare aiuti e pace ma che sia «in grado di difendersi». E il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki rincara: «L’Europa senza l’Ucraina non sarà più l’Europa. Sarà un simbolo di fallimento, umiliazione e impotenza». Il ceco Fiala posta su Facebook l’annuncio dell’incontro a Kiev con Zelensky e il primo ministro ucraino, Smihal, sottolineando che lui e i suoi colleghi vanno a Kiev come «rappresentanti del Consiglio europeo».
Formula ambigua, subito corretta nel senso della “consultazione” avuta con Michel e la Von der Leyen, i quali sarebbero stati solo informati.
La Polonia si è dichiarata pronta nei giorni scorsi anche a inviare a Kiev i suoi Mig-29, eventualità esclusa anche ieri come «inattuabile» dall’ambasciatore degli Stati Uniti presso la Nato, Julianne Smith, che considera come problemi il trasferimento dei caccia, i piloti e il rifornimento. Dei tre premier, quello che forse più di tutti può dire di aver vissuto una situazione simile a quella di Zelensky è lo sloveno Jansa, ministro della Difesa ai tempi della “guerra dei 10 giorni” con cui Lubiana riuscì a ottenere l’indipendenza da Belgrado e a beffare l’intervento dell’esercito federale a guida serba.
«È qui, nella Kiev dilaniata dalla guerra, che si fa la storia», twitta il polacco Morawiecki. «L’Ue sostiene l’Ucraina che può contare sull’aiuto dei suoi amici». A Kiev non è escluso che possa arrivare Papa Francesco, al quale il sindaco della capitale ucraina, Vitali Klytchko, ha fatto avere una lettera d’invito accorata. E in Europa volerà il 24 e 25 marzo il presidente Biden per i vertici straordinari Nato e Ue, a riprova, spiega il portavoce della Casa Bianca, dell’impegno “ferreo” dell’America al fianco degli alleati, e della convinzione del Presidente che la diplomazia debba essere “faccia a faccia”.
Mentre i “falchi” dell’Europa orientale raggiungono Kiev, dove ieri sera è cominciato un coprifuoco di ben 36 ore interrotto da numerose e violente esplosioni sulla città, il messaggio che da Kiev Zelensky manda ai russi e al mondo è però una mano tesa e, per la prima volta, il riconoscimento dell’impossibilità di aderire all’Alleanza atlantica. «L’Ucraina si rende conto che non è nella Nato. Abbiamo sentito per anni parlare di porte aperte, ma abbiamo anche sentito dire che non possiamo entrarci, e questo dobbiamo ammetterlo», ha detto collegato con la Joint Expeditionary Force, organismo politico-militare che unisce i Paesi nordici, Regno Unito e Baltici.
Al tempo stesso, ha nuovamente chiesto armi e no-fly zone, cieli off limits per gli aerei da guerra russi. Il premier britannico Boris Johnson, almeno sulla necessità di inviare più armi, ha commentato: «Ha ragione!». La concessione di Zelensky sul non ingresso nella Nato aiuta il negoziato anche se Putin, in una telefonata con Michel, ha detto che l’Ucraina non è «seria», non sta cercando «soluzioni reciprocamente accettabili».
Ieri sono ripresi i colloqui tra le delegazioni delle due parti e Kiev per la prima volta mostra un moderato ottimismo. La Russia aveva “messo ultimatum” sulla resa e la deposizione delle armi, mentre ora le trattative sembrano essere «più costruttive, difficili ma c’è spazio per compromessi». E procede l’attivismo diplomatico turco, col ministro degli Esteri Cavusoglu che vola oggi a Mosca e domani sarà a Leopoli per parlare con Zelensky. Emerge che nei giorni scorsi l’ex cancelliere tedesco Schroeder, lobbista e amico di Putin, ha incontrato a Mosca l’oligarca Abramovich, e parlato col capo dei negoziatori russi, Medinsky, a titolo personale
E ancora scaramucce a suon di comunicati tra Cina e Stati Uniti. Pechino accusa Washington di aver provocato la guerra, il Pentagono monitora eventuali forniture militari cinesi a Putin. Ma si starebbe preparando una telefonata tra Biden e Xi Jinping.