Asili nido e bus, cancellata la legge anti-Sud: dal 2020 spariscono i diritti zero

Asili nido e bus, cancellata la legge anti-Sud: dal 2020 spariscono i diritti zero
di Marco Esposito
Mercoledì 24 Luglio 2019, 12:00
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Nessun bambino vale zero per gli asili nido. Nessuna città capoluogo ha diritti zero sugli autobus. Si comincia da qui, da due correzioni allo stesso tempo simboliche e concrete, il cambio di rotta sul federalismo fiscale. La votazione è in calendario per questa mattina in Commissione tecnica fabbisogni standard, l'organismo guidato dall'economista Gianpaolo Arachi. Se non ci saranno sorprese, oggi pomeriggio i dettagli della svolta saranno illustrati alla Camera dei deputati, nel corso di una conferenza dal titolo «Asili nido, un diritto in tutti i Comuni d'Italia», che vedrà protagonisti il viceministro dell'Economia Laura Castelli, il sottosegretario all'Istruzione Salvatore Giuliano, il capogruppo della commissione Istruzione Luigi Gallo e lo stesso Arachi, entrato in carica lo scorso maggio. Tutti, tranne Arachi che è un tecnico, esponenti dei Cinquestelle e forse non è un caso.
 
Il tema sul tavolo riguarda i fabbisogni standard dei Comuni ma è chiaro che il provvedimento all'insegna dell'equità lancia un segnale sulla direzione da seguire per sbloccare il regionalismo differenziato.

La questione degli zeri al Sud non è nuova per il lettore del Mattino. Questo giornale è stato il primo - e purtroppo a lungo l'unico - a denunciare l'attuazione distorta del federalismo fiscale, in base al criterio offensivo del buon senso e della Costituzione che se un servizio manca, vuol dire che non serve e quindi il fabbisogno riconosciuto è nullo. Invece di contare i bambini si sono contati i mattoni: se l'asilo nido storicamente mancava, quei bambini non ne avevano diritto per il futuro. Una regola perversa che però, nonostante le denunce di stampa, è stata accettata passivamente dai sindaci del Sud fino alla svolta di quest'anno, quando è scattato un passaparola che ha messo in moto una serie di azioni giudiziarie, con settanta Comuni protagonisti e una vicenda che sarà sciolta in ottobre dal Tar del Lazio. A questo punto, si può prevedere, con buone possibilità di successo.

Come funzionerà il nuovo riparto dei fabbisogni? Per gli asili nido non cambia la cifra complessiva a disposizione per il 2020, che resta come quest'anno a 1,4 miliardi di euro (su 35 miliardi di spesa complessiva monitorata con il federalismo fiscale). Mentre però, fino al 2019, si è riconosciuto un diritto variabile da zero al 47% (cioè il servizio poteva essere assente oppure coprire fin quasi alla metà della popolazione inferiore ai tre anni d'età), i limiti rientreranno nel valore 7-28%. Le differenze territoriali, quindi, resteranno ma attenuate. Inoltre - altra novità - i diritti minimi saranno maggiori nei Comuni più grandi in base a cinque fasce di popolazione. Del resto già oggi la copertura media nei Comuni fino a 5.000 abitanti è del 7% mentre oltre i 100mila abitanti si arriva al 21%.

A guadagnare di più saranno i Comuni popolosi del Sud - come Casoria in provincia di Napoli o Altamura in provincia di Bari - che attualmente sono a fabbisogno zero. Naturalmente le maggiori risorse andranno convertite in servizio, anche in forma di voucher per le famiglie. Visto che però la somma a disposizione per l'insieme dei 6.700 Comuni non cambia, i municipi che oggi offrono un servizio molto diffuso dovranno ricorrere a risorse proprie per conservarlo e non considerarlo più un privilegio storico a carico dell'intera comunità. Ciò accadrà soprattutto in Emilia Romagna e Toscana, dove gli asili nido hanno una copertura tra il 20 e il 25% con punte oltre il 50%.

L'altra novità riguarda il trasporto pubblico locale. Nei capoluoghi di provincia sarà assegnato un fabbisogno anche in assenza di spesa storica, cioè con servizio mancante. In Campania il caso riguarda Caserta, la quale dal 2017 (da quando si introdusse questo trucchetto per limitare i fabbisogni al Sud) si vede assegnare fabbisogno zero di autobus, a causa del fallimento della locale società dei trasporti. Non passa il bus? Vuol dire che ai cittadini non serve.

Con l'applicazione - sia pure distorta - del federalismo fiscale si sono smentiti, dati alla mano, alcuni pregiudizi. Non è vero che i municipi del Mezzogiorno siano sommersi da soldi e carichi di personale. Non è vero che l'efficienza della spesa sia una caratteristica di tutto e solo il Nord. È vero invece che la classe dirigente meridionale ha dimostrato disattenzione su tali temi, come se fossero esclusiva pertinenza di chi aveva avviato la riforma federalista. In assenza di contraddittorio, la parte più ricca del Paese tra il 2015 e il 2018 ha forzato le regole in sede di tavoli tecnici, arrivando a sostenere che se un servizio manca in un determinato territorio vuol dire che il bisogno è zero.

E quindi non va finanziato. Negli stessi anni si è evitato accuratamente di definire i Livelli essenziali delle prestazioni sociali e civili centrali nella Carta del 2001 per eludere il nodo del costo dei Lep. Si è arrivati a scrivere, prima in un patto Governo-Anci e poi in un comma della manovra di Bilancio, che la perequazione integrale per Costituzione deve coprire «integralmente il target perequativo scelto» e cioè fermarsi a metà del dovuto. Dal 2017, addirittura, si è inserita la residenza come condizione per ricevere o meno servizi adeguati di assistenza ai disabili e agli anziani non autosufficienti, colpendo con gli «effetti territoriali» i diritti di chi risiede in Campania, Calabria, Puglia o Basilicata. Tutto ciò in completa assenza di dibattito pubblico. La novità prevista oggi per asili nido e trasporto locale non cancella quindi tutte le disparità e anomalie del federalismo. Ma il passo avanti è innegabile.

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