Elezioni, voglia di grande centro: trattative in Parlamento con vista sul Quirinale

Elezioni, voglia di grande centro: trattative in Parlamento con vista sul Quirinale
di Lorenzo Calò
Giovedì 7 Ottobre 2021, 11:00 - Ultimo agg. 16:05
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L'operazione per ora ha subito un piccolo stop per consentire a partiti e parlamentari di metabolizzare il risultato del primo turno delle amministrative ma contatti e trattative sono stati avviati e riprenderanno appena dopo i ballottaggi. La grande voglia di centro sembra aver ripreso vitalità e slancio tra Camera e Senato e si snoda su due obiettivi: portare la legislatura alla scadenza naturale e ritrovare protagonismo nella delicata partita che porterà all'elezione del presidente della Repubblica. Il campo è arato particolarmente nell'area del centrodestra: saltata per ora la federazione Forza Italia-Lega, si segnala un iperattivismo del leader di Iv Matteo Renzi che si starebbe organizzando per far nascere un gruppone di centro aperto alla stessa Italia viva, a Calenda, all'area moderata di Lupi e Romani, agli animatori di Coraggio Italia, il movimento che fa capo al governatore della Liguria Giovanni Toti e al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro e che in Parlamento confida sulle capacità relazionali di Cosimo Sibilia e Gaetano Quagliariello. Ma, soprattutto, è l'ala governista di Forza Italia a costituire una delle gambe più solide del progetto con i ministri Brunetta, Gelmini e Carfagna. L'obiettivo è quello di prolungare la permanenza di Mario Draghi a Palazzo Chigi e far contare sempre di più questo rassemblement centrista in sede di trattative e mediazioni finalizzate alla partita per individuare il prossimo inquilino del Colle. Resta invece solo sullo sfondo la riforma della legge elettorale in senso strettamente proporzionale: il successo del Pd nelle grandi città ha spinto il leader dei Dem Enrico Letta a congelare la questione mentre oggi di elezioni parla solo Giorgia Meloni, più preoccupata di cristallizzare e capitalizzare il consenso del momento di cui gode Fratelli d'Italia che interessata a ricostruire un'identità per un centrodestra che appare un po' allo sbando e molto spesso procedente in ordine sparso. 

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Eppure proprio nel centrodestra non ci stanno a leggere in senso negativo i numeri del primo turno amministrativo del 3 e 4 ottobre scorsi e da più parti si sta tentando di far passare la narrazione del «pareggio». Lo conferma l'uscita di Antonio Tajani, coordinatore nazionale di Forza Italia: «Sono d'accordo con Giorgia Meloni che non ci sia stata una sconfitta del centrodestra. Si può fare di più, ma non sono per l'autoflagellazione». Quello che Tajani non dice ma che si legge in controluce è che nella partita del Quirinale anche Berlusconi e Forza Italia non intendono stare a guardare, al di là della personale aspirazione del Cavaliere a proporsi come candidato unico dell'area moderata. Se nascerà o meno una grande forza di centro, magari prima in Parlamento e poi come offerta politica su scala nazionale, non ha dubbi uno dei parlamentari più navigati, l'ex ministro Gianfranco Rotondi: «La novità è ineludibile e, vedrete, verrà fuori spontaneamente per partenogenesi». In attesa che la procreazione biologica applicata alla politica faccia il suo corso al grande snodo centrista guarda con interesse e più di qualche sospetto anche il Pd. Lo fanno comprendere chiaramente le dichiarazioni del governatore della Puglia Michele Emiliano: il progetto al quale si sta parallelamente lavorando è quello di andare avanti con Mario Draghi presidente del Consiglio anche dopo le politiche. Ecco perché Enrico Letta ha rispedito al mittente la proposta di Giorgia Meloni di eleggere «SuperMario» al Quirinale per poi andare subito alle elezioni nel 2022. Dal Nazareno si punterebbe invece a rafforzare l'ipotesi della cosiddetta «maggioranza Ursula», ovvero quella che al Parlamento europeo ha votato a favore della presidente della Commissione europea von del Leyen: Partito democratico, Movimento 5 Stelle, Forza Italia, cespugli centristi come Italia Viva, Azione e Più Europa. Un'ipotesi che tutto sommato non dispiacerebbe neppure ad altre forze moderate di centro che guardano a destra come confermato anche dal governatore della Liguria Toti: «Avanti con Draghi nell'interesse del Paese anche nel 2023», ha detto, prospettiva assai gradita anche ai ministri azzurri iper-draghiani (la triade Brunetta-Carfagna-Gelmini) più inclini ad assecondare una maggioranza Ursula che a seguire il tandem Salvini-Meloni. E, assicurano in Parlamento, in questa direzione si starebbe spendendo anche l'ascoltatissimo Gianni Letta: Draghi è una punta di diamante soprattutto in Europa e con in partner Ue, per evitare che Bruxelles si metta di traverso e rallenti l'erogazione dei fondi Pnrr destinati all'Italia.

Ma d'altra parte sbaglia anche chi pensa che la Meloni speri che Salvini resti al governo per far continuare a guadagnare voti a Fratelli d'Italia: sarebbe comunque una strategia destinata al fallimento alle elezioni politiche. La leader di FdI sa perfettamente che la Lega è l'unico argine alla golden share del Pd su Palazzo Chigi e al ruolo «protettivo» nei confronti di Draghi, soprattutto in questo momento in cui i Cinquestelle e Conte sembrano palesemente fuori gioco. Lo sa bene anche Salvini, che infatti vuol continuare a destabilizzare l'esecutivo. Dall'interno.

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