Legittima difesa, la riflessione del giurista Fiore

Martedì 25 Settembre 2018, 00:32
5 Minuti di Lettura
A proposito della legittima difesa. Pubblichiamo la lettera di Carlo Fiore, professore emerito di diritto penale dell'Università di Napoli Federico II.


Con la ripresa dell’attività parlamentare, è prevedibile che tornino d’ attualità le ventilate riforme della legittima difesa, care soprattutto alla Lega, ma recepite anche nel c.d. contratto di governo (pag. 22), sotto il titolo «difesa sempre legittima»; titolo a dir poco raggelante per un giurista. Trattandosi di una delle poche riforme a costo zero, inserite nel programma dell’attuale maggioranza, e tenuto conto dei numeri (gli interventi tesi ad allargare i limiti della difesa privata sono stati sempre graditi al centrodestra) è assai alto il rischio che la “riforma” passi. Quanto mai opportuno, perciò, fare il punto sulla questione, a cominciare dall’esistente.

L’art.52 del codice penale stabilisce: «Difesa legittima. Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa». Potrà dunque invocare l’art.52 chi spari contro il rapinatore che gli punta la pistola addosso; ma non chi, avendo identificato il ladro che nottetempo gli ha svaligiato la casa, il mattino dopo lo va a cercare e lo massacra di botte; e neppure il contadino che spari un colpo di fucile in testa al ragazzino sorpreso a rubare frutta da un albero. Nel primo caso manca l’attualità del pericolo, nel secondo caso la proporzionalità della reazione.

Questi sono, naturalmente, casi limite. Ma c’è una gamma infinita di situazioni, in cui spetta al giudice stabilire se, in concreto, si è trattato o meno di una reazione difensiva ricadente nei limiti della legge. Questa funzione di mediazione del giudice, fra la previsione astratta della legge e la concretezza del singolo caso, segna, del resto, la differenza che passa fra il diritto moderno e quello, fatto di di “bandi” e di “gride”, con cui avevano a che fare l’Azzeccagarbugli e Renzo Tramaglino.

La “riforma” della legittima difesa, partorita dal centrodestra nel febbraio del 2006 era un chiaro esempio di regresso a una legislazione di tipo casistico. Essa, infatti, collegava una “presunzione” di proporzionalità della difesa a una serie di situazioni, minutamente descritte, che, per altro, con tutta evidenza, già rientravano nella previsione generale dell’art.52 c.p. La “novella” del 2006 era dunque una riforma perfettamente inutile, perché non spostava di una virgola i limiti della legittima difesa; e perciò, com’era prevedibile, non ha prodotto alcun effetto sulla prassi applicativa dell’art.52, accrescendo semmai il senso di frustrazione della collettività, abilmente coltivato negli anni successivi, sempre dalla stessa parte politica, per pure finalità elettorali. Di qui il fiorire di ulteriori proposte di riforma. Secondo la più gettonata di queste proposte (a firma Molteni, Fedriga, Giorgetti e altri) l’istituto della legittima difesa dovrebbe essere ulteriormente modificato, aggiungendo all’art.52 un nuovo comma, del seguente tenore: «Si considera che abbia agito per difesa legittima colui che compie un atto per respingere l'ingresso o l'intrusione mediante effrazione o contro la volontà del proprietario o di chi ha la legittima disponibilità dell'immobile, con violenza o minaccia di uso di armi da parte di una o più persone, con violazione del domicilio di cui all'articolo 614, primo e secondo comma, ovvero in ogni altro luogo ove sia esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale»

Come si vede, questa farraginosa previsione, da un lato, insiste nel tentativo di sostituire con una presunzione l’accertamento giudiziale della legittima difesa; dall’altro, nell’enunciarne le premesse, ancora una volta – almeno a prima vista - sembra evocare situazioni già ricomprese nella previsione generale dell’art.52. A ben guardare, però, ci si avvede che la norma proposta tende in qualche modo a spostare un po’ più indietro la linea del no trespassing, al di là della quale ogni reazione risulterebbe giustificata: non si tratta più solo della difesa del domicilio, ma in qualche modo della difesa di un confine. Ma, soprattutto, ci si avvede che è assente ogni riferimento, esplicito o implicito, all’attualità del pericolo: il che rende assai inquietante l’intera disposizione. Non a caso, la proposta in questione - e altre dello stesso tenore - hanno formato oggetto di una dura presa di posizione da parte dell’Associazione Italiana dei professori di diritto penale

Ma quello che più stupisce in tutta la vicenda legislativa è il fatto che le riforme proposte in questi anni, invece di avventurarsi in fumose presunzioni, non abbiano mai preso in considerazione la risposta più semplice alle reali criticità connesse con l’applicazione dell’art.52 c.p.

In realtà, il problema, che le cronache giornalistiche ci rimandano di tanto in tanto, è uno solo e consiste nel potenziale contrasto tra l’esigenza, irrinunciabile, che la reazione difensiva, per essere lecita, sia proporzionata al pericolo in atto, e il fatto che spesso le circostanze concrete rendono problematica un’appropriata valutazione del pericolo da parte dell’aggredito: con il conseguente eventuale “eccesso” nella legittima difesa.

Altri ordinamenti giuridici - per esempio il codice penale della Germania Federale - risolvono il problema con un’apposita disposizione, con cui si stabilisce che la responsabilità per eccesso colposo è esclusa, quando l’eccesso è il frutto di paura o turbamento, che hanno alterato la percezione del pericolo da parte della potenziale vittima. Ci vuole molto a concepire una norma di questo tipo?

Il sospetto è allora un altro: che in realtà l’intento perseguito attraverso l’insistente ricorso a inaccettabili “presunzioni” sia quello di limitare al massimo gli spazi di valutazione giudiziaria; magari con il pretesto della lunghezza dei tempi processuali. Questo tipo di motivazioni costituisce però un’ulteriore vendita di fumo. “Col morto a terra” - per dirla in gergo - l’intervento del giudice non si potrà mai eludere! E dovranno esserci rilievi, autopsie, perizie balistiche, con tutto il tempo che richiedono e con gli spazi valutativi che aprono; tenuto anche conto che un cadavere si può spostare da un posto all’altro, una vittima designata può essere attirata ad arte nel proprio domicilio, e così via!

Fuori dell’intervento del giudice, perciò, c’è solo il Far West: che nelle sue manifestazioni estreme conosce, non a caso, anche la legge di Lynch, sinistramente affiorata nel caso, recente, di un presunto futuro ladro (straniero, naturalmente), inseguito e percosso a morte da una improvvisata ronda di benpensanti, nei pressi di Aprilia.

 
© RIPRODUZIONE RISERVATA