Matera e Afragola, il Mezzogiorno tra orgoglio e servilismo

di Massimo Adinolfi
Domenica 20 Gennaio 2019, 09:00
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«Tornare indietro è impossibile»: è l'incipit del dossier della candidatura di Matera a capitale europea della cultura. Ma tornare indietro si può: basta avvicinarsi al Ministro dell'Interno, in vista ad Afragola dopo gli ultimi episodi criminali, prendergli la mano e baciargliela, in un gesto di servile devozione verso il potente di turno.

C'è Matera, la storia di un riscatto nazionale che si proietta in Europa. Una storia che mette insieme turismo e produzione culturale, tutela e valorizzazione, ingenti flussi di visitatori e una nuova idea di cittadinanza, grandi ospiti e coinvolgimento del territorio, in una trama progettuale che ha saputo far convergere capitali pubblici e privati e, per una volta, visto le amministrazioni fare squadra intorno a un unico, importante obiettivo. C'è Matera, e c'è la folla che si accalca ad Afragola: quello che grida togliamo la scorta a Saviano e quell'altro che riesce perfino a toccare Salvini (nientemeno!), a chinare il capo e lo sguardo e a baciargli untuosamente la mano.

Tornare indietro era impossibile, per il comitato che promuoveva la candidatura della città lucana, perché la sfida era stata lanciata, il lavoro avviato, le prime risorse investite. Sfida lanciata, e vinta: «Oggi Matera è una delle città più sicure d'Italia, una con la maggior penetrazione di tecnologie digitali private e con il maggior aumento di imprese culturali giovanili»: così si presenta la città, incrociando memoria e futuro, identità e apertura.

Ma di quante false partenze è fatta la storia del Mezzogiorno? Inchieste parlamentari, leggi speciali, interventi straordinari, programmazioni nazionali ed europee: una consapevolezza intermittente, un investimento politico ed economico a volte (poche) felice, altre volte (molte) del tutto inadeguato. Quante altre volte, però, e in quanti altri luoghi non si è partiti affatto, e gesti e pratiche antiche si sono ripetute e si perpetuano sempre uguali, come l'omaggio e la sottomissione al potere promessa nel baciamano di Afragola?

La storia di Matera dimostra che cambiare si può, che il Sud non è condannato a rimanere irrimediabilmente lontano dai percorsi della modernità. Il baciamano di Afragola dimostra che vi sono tuttavia altri percorsi, o altri luoghi, in cui il Mezzogiorno rimane ancora impigliato, nella sua cronica arretratezza politica e culturale. Dove mercato, diritti, legalità, buona amministrazione non costituiscono l'alfabeto della vita pubblica, ma un'astrazione quasi senza significato.

È una questione di cultura? Certo. Però mettiamoci a fianco di questa parola, buona per molti usi, almeno una breve considerazione. Che traggo ancora dal dossier di Matera: «La cultura non è qualcosa di cui pochi sono dotati e che concedono benevolmente e periodicamente a chi meno sa e meno tempo ha per studiare o scrivere, ma è un processo che si costruisce tutti i giorni insieme». La scommessa di Matera è tutta qui: nella capacità di fare cultura dentro la vita delle persone, non semplicemente sorvolandovi sopra. La cultura non è di pochi, ma di molti: questa è la scommessa anti-aristocratica della democrazia. Dove rimane patrimonio di pochi, lì ai molti non rimane altro che accalcarsi speranzosi attorno al potente di turno, promettendo ossequi e chiedendo favori.

Sviluppo richiede cultura, e cultura richiede sviluppo. Risorse economiche richiedono capitale sociale, perché non vadano disperse nel clientelismo, nell'illegalità e nella corruttela. Ma è vero anche il contrario: senza investimenti, il capitale sociale non si attiva. La storia di Matera lo dimostra: il circolo può essere virtuoso, oppure vizioso. È virtuoso quando uno dei due termini, crescendo, alimenta e favorisce l'altro, che cresce a sua volta. È vizioso quando l'assenza dell'uno scoraggia anche l'altro. A Matera le cose hanno preso a girare per il verso giusto; ad Afragola, nell'epitome del gesto che riconsegnava la politica a rapporti di tipo notabilare, la ruota invece s'è fermata ancora una volta.

P.S. Quand'è, però, l'ultima volta che si è parlato di Basilicata, nell'arena pubblica nazionale, e a proposito di cosa? Se non vado errato, a proposito di referendum, trivelle e idrocarburi, e relative vicende giudiziarie e ambientali. Sotto il suolo lucano stanno infatti i più grandi giacimenti petroliferi italiani, ma sopra di esso stanno, per l'appunto, i lucani. Domanda: modernità non significa, tra le altre cose, cercare i modi e le forme per coniugare insieme rispetto dell'ambiente e sviluppo del territorio: senza violentare l'ambiente, senza frenare lo sviluppo?
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