Nuovo Ulivo, Santagata: «Forze politiche diverse per un progetto comune la formula si può ripetere»

Nuovo Ulivo, Santagata: «Forze politiche diverse per un progetto comune la formula si può ripetere»
di Generoso Picone
Domenica 31 Ottobre 2021, 11:38
4 Minuti di Lettura

«Un nuovo Ulivo, per essere davvero efficace, deve diventare autenticamente nuovo», è la premessa che fa Giulio Santagata, l'economista modenese al fianco di Romano Prodi nelle stagioni prima dell'Ulivo e poi dell'Unione, quindi in Parlamento da deputato e al governo come ministro per l'Attuazione del programma.

Santagata, nuovo Ulivo perché viene riproposto vent'anni dopo. Non è sufficiente?
«No, non basta. Quando nacque, l'Ulivo si pose l'obiettivo di rappresentare un modello di incontro tra i vari riformismi che esistevano nella società italiana. C'era stata la fase di Mani pulite, i partiti tradizionali ne erano stati travolti e i riferimenti collettivi, pur fortemente segnati, mostravano ancora un minimo di vitalità. Ma il valore aggiunto venne dato dalla straordinaria tensione che giunse dai cittadini e produsse partecipazione e mobilitazione. Questo resta la caratteristica fondamentale dell'esperienza di allora. Oggi i riformismi non ci sono più e al loro posto abbiamo i riformisti».

Il nuovo Ulivo dovrà puntare a metterli insieme? Ma chi stabilisce che si è riformisti?
«Ognuno a suo modo può definirsi tale. Poi ci sono i titoli, che sono quelli di sempre: lavoro, integrazione, europeismo, diritti. La differenza è nell'approccio alle questioni e nelle soluzioni che vengono avanzate. Lì si valuta la qualità dei riformisti e la capacità di delineare una prospettiva progressista. Certo, senza strutture intermedie non è facile. Ma non impossibile. Un suggerimento utile potrebbe arrivare dalla pratica militare».

In che senso?
«L'altro giorno discutevo con Arturo Parisi, che è uomo dalla solida cultura militare appresa alla Scuola Nunziatella di Napoli. Mi spiegava la differenza tra divisa e uniforme. La divisa identifica la soggettività. L'uniforme indica l'appartenenza. Il nuovo Ulivo dovrebbe assumere questo principio, di conservare le identità in un progetto comune e condiviso. Quello dell'esercito potrebbe rappresentare il modello praticabile».

Lei farebbe indossare l'uniforme anche a Matteo Renzi, pur con la divisa di Italia Viva? Insomma, ci sarebbe posto anche per lui nel nuovo Ulivo? Dopo la bocciatura in Senato del disegno di legge Zan si è registrato uno strappo che il Pd non ha intenzione di ricucire.
«Scusi, ma perché si è dovuto aspettare la scelta sul disegno di legge Zan? Da tempo Renzi si muove in un'area che avrebbe ben poco a dividere con il nuovo Ulivo.

Penso alle sue idee sulle politiche per il lavoro, alla sua concezione sul ruolo dello Stato, alla difesa spesso esasperata degli interessi individuali. Mi pare inutile attendersi da lui propositi riformisti. Detto ciò, eviterei comunque di inseguire tentazioni di chiusura».

Nei suoi confronti?
«Assolutamente non per lui, non intendo passare per un suo difensore. Però non è mica obbligatorio trovare identità di vedute al 100 per cento per stare insieme. Una volta definiti i cardini valoriali, lo sforzo da compiere è aprirsi e confrontarsi con l'esterno».

Anche con il M5S? Lei immagina di esportare su scala nazionale la formula vincente alle amministrative?
«Anche qui il problema è capirsi a proposito di riformisti e riformismi. Se il confronto con il M5S deve significare mettersi d'accordo con Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, beh, siamo sulla strada sbagliata. Il Movimento si è rivelato un contenitore di tanti riformisti ed è con loro che occorre dialogare. Se proprio vogliamo parlare di formule, io recupererei quella della Fabbrica del Programma?».

Si riferisce all'esperimento bolognese da lei ideato nel febbraio 2005 a Bologna?
«Sì. Mise al centro i contenuti, evitando di dare priorità ai tavoli e ai tavolini. Mi pare che le Agorà di Enrico Letta stiano andando in questa direzione».

Il nuovo Ulivo da formare dovrà poi gestire l'appuntamento dell'elezione del presidente della Repubblica. Il voto sul disegno di legge Zan è stata una prova generale che rimanda a quanto accadde con la candidatura di Romano Prodi nell'aprile 2013?
«Con la differenza che oggi il centrosinistra non ha numeri per porre un suo nome e alla quarta votazione sarebbero ben più di 100 i voti mancanti. Tolti i due nomi più forti, cioè l'uscente Sergio Mattarella e il presidente del Consiglio, Mario Draghi, che per diverse ragioni e almeno per il momento non appaiono in corsa, c'è soltanto una grande incognita e il risultato sul disegno di legge Zan ha mostrato che con il voto segreto tutto è possibile. A meno che Mattarella non faccia prevalere l'idea del servizio al Paese, principio che è nella sua cultura politica, e così si vada a una sua riconferma».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA