Spazzacorrotti, è scontro: stop dai giudici di Napoli

Spazzacorrotti, è scontro: stop dai giudici di Napoli
di Leandro Del Gaudio
Sabato 2 Marzo 2019, 08:00 - Ultimo agg. 14:20
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Li stanno arrestando uno alla volta, giorno dopo giorno. Colletti bianchi, persone condannate in via definitiva, convinte di poter saldare il conto con lo Stato lontano dal carcere, comunque con pene alternative, che vengono tradotte in cella. Effetto della spazzacorrotti (che ha equiparato i reati di pubblica amministrazione ai reati di mafia), che qui a Napoli ha fatto registrare immancabili colpi di scena.
 
Due le novità: ieri pomeriggio un collegio di giudici (la settima sezione del Tribunale di Napoli) ha bocciato la spazzacorrotti, accogliendo il lavoro di due penalisti partenopei (gli avvocati Simona Lai e Gennaro Pecoraro), rimettendo in libertà una donna condannata per tentata corruzione a due anni e tre mesi e revocando così l'ordine di arresto dei primi di febbraio: per lei il carcere di Pozzuoli si era aperto lo scorso 12 febbraio, ma ieri pomeriggio i giudici hanno accolto l'istanza difensiva, fondata anche sulla incostituzionalità della nuova legge. Stesso ragionamento della Camera penale di Napoli, che bolla come palesemente incostituzionale la spazzacorrotti. Ma andiamo con ordine, a partire dal clima che si respira in questi giorni in piazza Cenni, di fronte all'avvento dell'ormai famigerato articolo 4 bis della legge 354/75 (legge tre del 2019), una norma sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure detentive. Grande lavoro ai piani alti del Palazzo di giustizia, la macchina messa in moto dalla Procura generale è a pieno regime. Sono decine gli ordini di esecuzione di arresti a carico dei cosiddetti colletti bianchi. Professionisti, funzionari pubblici, magari semplici impiegati e uscieri, poi lobbisti, magistrati, avvocati, esponenti delle forze di polizia che sono stati dichiarati colpevoli per storie di tangenti sono destinati a finire in cella. Lo dice la spazzacorrotti, che agisce in modo retroattivo e che non prevede norme transitorie. In sintesi, chi in questi anni ha patteggiato una condanna anche per pochi mesi è destinato a finire in carcere. Stessa sorte per chi ha chiuso i conti con un rito abbreviato con una condanna sotto i tre anni, potendo contare su misure alternative. Un punto ritenuto incostituzionale dagli addetti ai lavori, come emerge dall'intervento della camera penale di Napoli, guidata dal presidente Ermanno Carnevale.

Scrive il direttivo di piazza Cenni: «La Camera Penale esprime forte preoccupazione per l'aggravarsi dell'emergenza carceraria che rischia di tornare ai livelli di insostenibilità degli anni passati anche per l'effetto della entrata in vigore della legge cosiddetta spazzacorrotti. Ciò comporta che, fatte salve le ipotesi residuali connesse alla cosiddetta collaborazione, tutti i condannati definitivi per reati contro la pubblica amministrazione non possono più usufruire dei benefici penitenziari previsti dalla normativa e vedono schiudersi esclusivamente le porte del carcere per scontare la pena. L'inclusione dei reati contro la pubblica amministrazione tra quelli cosiddetti ostativi alla concessione dei benefici penitenziari presenta evidenti profili di incostituzionalità. Tra i tanti, segnaliamo che l'applicazione per fatti commessi prima della entrata in vigore della legge appare in netto contrasto con il principio della irretroattività della legge penale; inoltre, in violazione del principio di eguaglianza, sono equiparate in maniera automatica situazioni tra loro ben diverse; ancora, segnaliamo l'irragionevolezza della presunzione assoluta di pericolosità sociale (recuperando modelli propri dei fenomeni di criminalità organizzata) per questo catalogo di reati». Aria di mobilitazione, dunque, da Napoli la rivolta contro la spazzacorrotti, anche alla luce del provvedimento adottato ieri dai giudici della settima sezione penale, è solo all'inizio.
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