Quella folle idea di tagliare gli stipendi nel Mezzogiorno

di Marco Esposito
Domenica 15 Settembre 2019, 09:00
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È una proposta, vecchia come le gabbie salariali, rilanciata in versione aggiornata dalle colonne del Corriere della Sera a firma degli economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, sotto forma di consiglio al governo Conte. Il principio è, in apparenza, l'equità. Se due insegnanti di prima nomina vivono uno a Milano e l'altro a Napoli, avranno un uguale stipendio pubblico di 1.350 euro netti al mese ma il prezzo del pane - in base alla rilevazione ufficiale Istat - è in media di 4 euro al chilo a Milano e di 1,90 a Napoli; per cui l'insegnante che fa la spesa a Napoli potrà acquistare più del doppio di chili di pane del collega milanese. E quindi sarebbe giusto, in base al costo della vita, dimezzargli lo stipendio in modo da pareggiare i chili di pane.

Facile immaginare la prima obiezione: non si vive di solo pane e ci sono cose che a Napoli costano molto più che a Milano, per esempio l'assicurazione auto o moto. Ma l'argomento è scivoloso e non sarà sufficiente cavarsela con qualche battuta. Le obiezioni a chi propone di tagliare la spesa pubblica abbassando salari, sussidi e pensioni al Sud sono cinque. Sarà utile tenerle a mente quando dai suggerimenti più o meno provocatori si passerà ai fatti.

Intanto ecco l'ultima versione della proposta, illustrata come «priorità per il Conte 2» da Alesina e Giavazzi: «Il reddito di cittadinanza va modificato e reso più simile al pre-esistente reddito di inclusione. Un salario minimo troppo alto sarebbe dannoso per l'occupazione, soprattutto al Sud: la differenza fra i salari al Nord e nel Mezzogiorno deve riconoscere la differenza nel costo della vita tra le due parti del Paese, non solo nel settore privato, dove già in parte avviene, ma anche nell'impiego pubblico. Inoltre, salari reali pubblici più alti al Sud che al Nord fanno concorrenza sleale al settore privato con effetti negativi sulla crescita. Non è quindi solo una questione di equità Nord-Sud, ma anche di crescita». L'insegnante del Sud che guadagna i suoi 1.350 euro al mese deve quindi sentirsi in colpa per concorrenza sleale e mancata crescita della sua terra? No. Ma vediamo perché.

Primo. Nel paniere della spesa Istat non c'è, ovviamente, soltanto il pane ma una gran quantità di prodotti e servizi. Ma per quante persone? Nel mondo di Alesina e Giavazzi ogni lavoratore è un single, una monade. Nella vita non è così e al Sud i percettori di reddito sono in proporzione molto meno che al Nord. In media al Nord un reddito va diviso per 1,37 persone mentre al Sud per 1,62 persone. I 1.350 euro quindi valgono 985 euro procapite al Nord e 833 al Sud.

Secondo. Nel paniere Istat i servizi sono, per definizione, equivalenti nella qualità e l'unica differenza misurata è il prezzo. Quindi per esempio il biglietto integrato urbano costa 1,50 euro a Milano e 1,60 euro a Napoli: due valori simili. Ma a Milano la frequenza delle linee della metropolitana è di 2-4 minuti e il servizio prosegue fino a mezz'ora dopo la mezzanotte; mentre a Napoli l'attesa è di 9-14 minuti e le stazioni chiudono alle 23. Un confronto corretto va fatto a parità di servizi erogati.

Terzo. Il paniere Istat ha una particolarità: non contiene prodotti identici in ogni città ma i beni più venduti per ciascuna tipologia. Quindi se a Milano in un negozio campione la pasta più venduta è la De Cecco a 1,15 euro, quello sarà il prezzo indicato mentre se a Napoli è la Barilla a 0,90, ogni mese si seguirà il prezzo del pacco Barilla. Però il confronto tra le due città sarà distorto perché, in genere, la località più ricca vedrà acquisti orientati verso articoli di fascia media e alta mentre nei posti con basso reddito saranno prevalenti i prodotti low cost.

Quarto. Parlare di Nord e Sud nei prezzi è una semplificazione eccessiva. La differenze più forti, infatti, sono tra piccoli centri e grandi città e, all'interno delle città, tra aree periferiche e centrali. I valori immobiliari sono forse il più efficace indice del costo della vita e del livello di servizi in una determinata zona. A Napoli i prezzi delle case al Vomero sono il doppio rispetto alla periferia di Milano e quelli di un'area periferica come Pianura sono superiori (1.300-1.950 euro al metro quadrato) rispetto alla periferia di un centro lombardo come Voghera (1.100-1.300 euro). Ha senso una nazione che paga i propri insegnanti (e infermieri, medici, carabinieri...) in base al quartiere dove vivono?

Quinto. Una volta stabilito che tagliare i redditi al Sud non è affatto equo, sarebbe almeno utile alla crescita? Di sicuro ci sarebbe un crollo degli acquisti con effetti a catena: stretta sui consumi, chiusure di imprese ed esercizi commerciali, licenziamenti, nuova stretta sui consumi e così via. In cambio però potrebbero arrivare società internazionali attratte dal minore livello dei salari. Già, ma quanto basso? Senza uscire dall'Europa, ci sono posti dove un laureato guadagna meno di 500 euro mensili, come l'Ucraina e la Turchia. Siamo sicuri che applicando al Sud queste paghe riusciremmo a frenare la fuga di cervelli dal Mezzogiorno?

Forse la risposta migliore all'idea di abbassare gli stipendi dei meridionali è arrivata via Twitter dall'economista Gianfranco Viesti: «Ma perché pagare i dipendenti pubblici del Sud, visto che sono una massa di sfaticati assenteisti? Se vogliono un salario vadano al Nord, dove li fanno lavorare. Se no, sole e mandolino bastano. Specie gli insegnanti di scuole di periferia, che perdono tempo con tutti quei poveri».
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