Fioramonti boccia il ministro Azzolina: «Si è isolata e ora la scuola è nel caos»

Fioramonti boccia il ministro Azzolina: «Si è isolata e ora la scuola è nel caos»
di Mariagiovanna Capone
Martedì 19 Maggio 2020, 08:00 - Ultimo agg. 17:47
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Le spaccature nel mondo della scuola create dal ministro Lucia Azzolina sembrano insanabili. Da una parte il ministro Azzolina e dall'altro dirigenti, docenti, sindacati, studenti e famiglie. La precarietà esistenziale della pandemia si è sommata con quella delle dichiarazioni discordanti via social, utili solo a impantanare dirigenti, docenti, precari, studenti, impossibilitati a muoversi in un castello di carta tenuto insieme dalla colla dell'incertezza. Il pensiero va a Lorenzo Fioramonti, l'ex ministro del Miur dimissionario a dicembre, eletto alla Camera con il M5S ma che è transitato nel Gruppo Misto.
 


Onorevole Fioramonti, siamo nella seconda metà di maggio e solo giovedì sarà discusso il decreto Scuola in Senato. È tutta colpa dell'emergenza?
«Sicuramente l'emergenza ha influito, ma è evidente che siamo di fronte a un ritardo della politica e il governo ha le sue responsabilità. Abbiamo un ministro che, a fronte di conflitti storici, si è inimicata ancora di più il mondo della scuola. Situazione di cui non avevamo bisogno, che peggiora la crisi che stiamo vivendo. Anche gli slittamenti della discussione in Senato sono dovuti al ministro, in disaccordo con la propria maggioranza. Un ministro dovrebbe trovare sempre un punto di convergenza, ma Azzolina si ostina a proseguire su una linea che può davvero di portare la scuola a una disfatta di lungo termine. Perché corriamo il rischio di non essere pronti nemmeno a settembre».

Lo slittamento quindi è soltanto motivato da conflitti nella maggioranza?
«Ne ho la certezza: il Senato doveva discuterne due settimane fa, ed era già tardi. Da allora siamo fermi su punti su cui non si trova la quadra. Da ministro ho varato il decreto legge che prevedeva il reclutamento dei precari, non il migliore decreto ma metteva insieme tutti. Era un decreto di mediazione perché la scuola aveva urgente bisogno di personale. La politica è soprattutto questo: mediazione. Azzolina quindi non ha deficit in bravura ma in capacità politiche».

Che poi designa la validità di un ministro.
«Certo, perché prima di tutto occorre coerenza e collegialità. Nel caso del ministro non sono mancati annunci social (contraddittori) ma sono mancati moltissimo gli incontri con le forze politiche di maggioranza, i legami istituzionali come con il Consiglio superiore della pubblica istruzione. Manca la disponibilità al rispetto dei ruoli istituzionali, che poi è alla base del funzionamento di una squadra: c'è bisogno di un direttore d'orchestra non di una solista».

In tutto questo come trova il decreto?
«Ciò che emerge è che non pone la questione scuola con forza all'interno della programmazione politica del governo. Azzolina non ha rivendicato più risorse, come invece ha fatto Manfredi ottenendole, ha richiesto solo un numero esiguo di posti in più per il concorso straordinario dei docenti che saranno appena 16mila. Nel mio decreto, proposto in un periodo senza pandemia ero riuscito a prevederne 50mila sebbene ne avessi voluto il doppio. Io 50mila e Azzolina 16mila: qualcosa non torna. Avrebbe potuto battere i pugni sul tavolo e chiedere più fondi e più docenti, serviva una voce autorevole, non una voce invisa a sindacati, precari, ds... La frammentazione del mondo scolastico che questa gestione ha scatenato, ha indebolito anche il vertice politico, non più percepito come la voce di un mondo in sofferenza ma una figura distaccata da quella realtà. Ci sono poi altre evidenti scelte non condivisibili nel decreto».

Quali?
«Sulla maturità avrei ascoltato il Consiglio superiore, che chiedeva esame di Stato non in presenza. Ho fatto colloqui di lavoro su Skype, premi Nobel fanno lezioni così, non vedo perché non l'esame. Poi il concorso, con docenti con decenni di esperienza che mettere le crocette su un test per dimostrare la loro competenza».

È d'accordo almeno sulle modalità di rientro a scuola metà classe in aula e metà a casa?
«No, solo in parte. Prima di tutto la Dad non è la soluzione, è solo meglio di nulla. E poi quale Dad? Quella priva di linee guida ministeriali? Quella basata su dispositivi e connessioni che milioni di ragazzi non hanno e ha portato una dispersione scolastica enorme? Ho avanzato proposte a Patrizio Bianchi, capo della task force, dove al centro c'è proprio il reperimento di spazi, non solo edilizia scolastica ma anche istituzionali come biblioteche, anagrafe, musei...
A settembre la scuola dovrebbe essere più forte: mi immagino piccoli gruppi di 10 ragazzi in classe, altri gruppi che insieme seguono sullo schermo la lezione in un'altra aula o nello spazio da concordare con gli enti locali. Non hanno bisogno di pc a casa, né del controllo dei genitori. Sarebbe disastroso non essere pronti a settembre, gli abbiamo tolto mesi di apprendimento e socialità e non posso immaginare un altro anno così. Le soluzioni insomma si trovano se si discute tutti insieme. Serve autorevolezza, serve un nuovo modello pedagogico, e stiamo perdendo tempo prezioso. Le decisioni da solista del ministro Azzolina stanno indebolendo il governo, e se a settembre ci sarà il caos per il ritorno a scuola, si prenderanno le loro responsabilità».

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