Non si può dire che abbiano lasciato tracce indelebili gli schizzi di veleno che pure non si sono fatti attendere anche in questo pre-conclave che a lavori in corso ha dovuto sgombrare il campo da questioni non di poco conto, a cominciare dal caso-Becciu. Ma la memoria storica dell’esclusivissima assemblea della Sistina è ricca di ben altro e consegna tutt’al più alla cronaca corrente il piccolo diario dei passi falsi.
Tutto questo mentre alle Congregazioni, nell’aula del Sinodo, continua un discorso che tuttavia sta per concludersi.
Una Chiesa non autoreferenziale, segno di fraternità con il mondo, tanto più nel momento di crisi e di inquietudini che attraversa; attenzione agli ultimi e ai lontani, ma senza dimenticare i vicini, il gregge docile che non si fa sentire ma che talvolta si sente messo da parte. Dialogo ecumenico, missione. E un papa dotato di spirito profetico.
È un’altra tessera, delle tante proposte in questi giorni, che compone il mosaico della chiesa e del papa prossimo venturo così come continua a emergere dal confronto in vista del conclave. Restano due sessioni, domani e martedì (ma con una doppia tornata, mattina e pomeriggio), per far cadere dalle congregazioni il suffisso di pre-conclave. Non varcheranno la soglia della Sistina gli oltre cinquanta ultraottantenni, che in questi giorni con la loro esperienza hanno aiutato i più giovani, molti dei quali all’esordio, a delineare il volto del papa da eleggere. Se è abbastanza chiaro l’identikit - un Francesco accettato in toto nella sua dimensione pastorale- l’accento posto, anche ieri su altri aspetti, come il dialogo ecumenico e la missione, sembra allargare il campo, pur ribadendo il desiderio che “il prossimo papa abbia uno spirito profetico”.
In senso più immediato e concreto, il tema della continuità con il pontificato di Francesco è rimasto centrale fino all’ultimo e tutto lascia credere che sarà proprio questo l’elemento di scelta più diretto. Non solo come semplice rassegna dei temi del pontificato, il consuntivo delle questioni affrontate nei numerosissimi – seppur brevi – interventi ha portato allo scoperto la realtà di una chiesa alla quale non sempre tornano i conti tra l’investimento in generosità, (meglio: misericordia), e la resa effettiva sul piano dei risultati. Non si tratta di tirare le somme tra il dare e l’avere, ma di passare a verifica gli strumenti utilizzati e messi in campo.
Inevitabilmente poi, di fronte a un mondo che non aspetta e a quello che lo stesso Francesco ha definito un cambiamento d’epoca, qualche cantiere è rimasto aperto. Ma forse non solo perché, la formula tipicamente gesuita di aprire progetti e non occupare spazi, ha determinato, pur in senso positivo e creativo, una sorta di “disordine” programmato che ha certo bisogno, senza più la gestione di Francesco, di qualche necessaria messa a punto. Occorre aggiungere che si tratta di un campo vasto, come vasto è stato il raggio d’azione del magistero. Nessun papa chiude epoche di chiesa e vedere in che modo l’opera di Francesco possa proseguire è appunto ciò che tocca ai 133 cardinali che da mercoledì pomeriggio, dopo l’extra-omnes, si ritroveranno nella Sistina. Nella Messa dei Novendiali, all’ottavo giorno, il cardinale Fernando Artime, ha invitato a “trasformare in programma di vita”, per tutti i battezzati, “l’amore dimostrato verso Francesco”. La prospettiva di un conclave breve, anche come segno immediato della capacità -oltre che della “possibilità” -di scelta, sembra reggere (con qualche residua difficoltà) anche in queste ultime ore, favorita proprio da una condivisione di base intorno al pontificato di Francesco. Ma pur tenendo conto di una composizione largamente determinata dalle sue nomine, non tutto sembra scontato, e paradossalmente anche per il fatto che la globalizzazione così accentuata del Collegio cardinalizio ha riguardato, in qualche caso, non solo la singola persona, ma la comunità, “premiata” come segno di testimonianza per l’esiguità della propria rappresentanza. Il caso della Mongolia e della sparuta minoranza di cattolici, non superiore a quella di una parrocchia italiana, visitata dal Papa per 5 giorni nell’estate del 2023, è emblematico. Ma certo al conclave saranno anche presenti temi non direttamente affrontati nelle Congregazione. Guardando appena oltre, in vista della “fumata bianca” non appare secondario, in relazione alla personalità del nuovo papa, valutare il peso di alcune scelte immediate che l’eletto sarà chiamato a fare. Una fra tutte la scelta della residenza. Santa Marta è stato uno “strappo”, uno dei tanti, di Papa Francesco, essendo la residenza naturale nel Palazzo apostolico. È scontato che questa prima scelta orienterà subito, giusto o no che sia, i commenti circa la continuità o meno con il pontificato di Bergoglio. Un fatto è certo: il dopo- Francesco, dopo 12 anni di pontificato, sarà una storia di molti e quasi interminabili capitoli.