Papa Francesco, dieci anni di Pontificato: un altro mondo, un'altra Chiesa

La rivoluzione di Bergoglio e la sfida più difficile contro le tragedie antiche: pandemia e guerra

Papa Francesco
Papa Francesco
di Angelo Scelzo
Lunedì 13 Marzo 2023, 00:00 - Ultimo agg. 18:18
7 Minuti di Lettura

Dieci anni, un altro mondo, un’altra chiesa. E un Papa uscito, dopo secoli, da un conclave senza i funerali del predecessore. Era forse proprio questo il prologo giusto per una storia tutta nuova annunciata, con un imprevisto e un po’ strano buonasera, il 13 marzo del 2013, dalla Loggia di piazza san Pietro a partire da un nome, Francesco, il più santo dei santi ma a nessuno venuto mai in mente come titolo di un pontificato. Ha osato farlo il papa «scelto dalla fine del mondo», ed era solo il primo indizio di una svolta totale nella vita della chiesa, segnata, fin dall’inizio, da un mesto pellegrinaggio a Lampedusa, davanti a una distesa di bare ancora più numerosa di quella riapparsa, proprio dieci anni dopo, come la metastasi di un mare malato, a Cutro. 

Si può certo chiamare rivoluzione il processo messo in atto e tuttora in corso. Ma valutarne la portata è compito arduo e non perché si tratterebbe di un bilancio comunque parziale. Semmai per il motivo opposto, perché tutto il processo di cambiamento di questo decennio, va rapportato - come mai forse era accaduto in passato per altri pontificati - con quel che è avvenuto nel mondo, attraversato e scosso da fasi di trasformazione così profondi da segnare un cambiamento d’epoca. Occorre infatti mettere in campo i grandi scenari, come l’era della globalizzazione - per quanto non più all’apice - e sul piano geopolitico la tormentata e violenta ricerca di un nuovo ordine internazionale per valutare anche i cambiamenti nel campo ecclesiale e nel pontificato di Francesco. Pur nella fase più spinta del suo impegno riformista, la chiesa di Francesco si è trovata più di tutte a fare i conti con una realtà globale che ha sovrapposto la portata dei propri cambiamenti a quelli di una chiesa preoccupata di guardare innanzitutto dentro se stessa - non certo per compiacersi bensì per attrezzarsi ad affrontare meglio le sfide poste dalla modernità. 

Nell’agenda di Francesco sono subito apparsi in evidenza tutti i temi di un pontificato innovativo, fin dal linguaggio («i pastori con l’odore delle pecore», «la corruzione che spuzza», coniata a Napoli), preso dalla vita quotidiana e senza concessioni all’ecclesialese corrente.

Anche per questo si sono delineati con chiarezza gli obiettivi di governo più immediati, a cominciare da una profonda ristrutturazione della curia, mai amata dal cardinale di Buenos Aires e indicata come responsabile del malessere vaticano; e ancor più i gesti come la rinuncia all’appartamento nel palazzo Apostolico, il cerimoniale semplificato o ridotto all’osso, l’uso dell’utilitaria per gli spostamenti. Erano ben visibili, a sostegno, scelte pastorali coerentemente orientate verso le emergenze delle periferie esistenziali, dove si annidano le povertà vecchie e nuove, si concentrano i drammi dei conflitti locali, oltre che dei catastrofici esodi migratori e le devastazioni di un ambiente maltrattato e asservito agli interessi di parte. 

La chiamata a una fratellanza universale affidata a un’enciclica, la “Fratelli tutti“, e il forte richiamo alla salvaguardia del creato, attraverso l’altro fondamentale documento della “Laudato si“ erano state le risposte di un pontificato in linea con i tempi nuovi, e disposto persino a sfidare all’interno settori di chiesa ideologicamente contrari a un’enfatizzazione della matrice ecologista. Certo tutto questo entra nel bilancio del decennio, e per un certo tempo proprio qui andava ricercato il nucleo di ogni possibile valutazione. Ponendo in rilievo anche l’inedita “coabitazione”, durata quasi dieci anni, con il Papa emerito Benedetto XVI. Ma alla luce di ciò che è poi avvenuto, ognuno di questi elementi è via via scivolato in secondo piano, assorbito da un cambiamento che si trasformava in routine, tanto appariva naturale e prevedibile in relazione alla personalità e al carisma di Francesco. 

Il punto centrale si è rivelato perciò un altro, fino a spostare i riflettori da una riforma appena avviata al confronto diretto con i rivolgimenti di un mondo che, al suo cambio d’epoca e ai suoi ordinari sussulti, aggiungeva il peso di due grandi emergenze: gli anni della pandemia e il ritorno della guerra nel cuore dell’Europa. In realtà due tragedie antiche nella vita della chiesa, più volte scesa in campo, in passato per evitare o porre fine ai conflitti, o fronteggiare, spesso con i segni di un altro tempo - processioni, riti propiziatori e benedizioni sul campo- il flagello quasi atavico di vere e proprie ondate epidemiche. Papa dell’era post-globale a Francesco è così toccata la difficile e perfino inimmaginabile sfida di proiettare al futuro una chiesa chiamata a riscoprire, in termini nuovi, la sua irrinunciabile dimensione devozionale.

Video

Esistono due immagini che raccontano come la pandemia e la guerra abbiano messo in fila, accanto alla missione ordinaria, ogni altro aspetto del pontificato. La prima: Francesco, solo, nel deserto di piazza San Pietro, venerdì 27 marzo 2020 con il colonnato del Bernini, ordinario scenario di imponenti abbracci di folla che invece, nel momento di quella solenne “Statio orbis” sovrastava e incombeva anche sulla figura del papa. A piccoli passi, già curvo sulle gambe, il capo chino e il volto affranto, Francesco si avviava sul sagrato, con ai due lati il crocifisso di san Marcello al corso e l’immagine della “Salus populi romani“ invocati a protezione contro la mortale insidia del Covid. L’altra, apparentemente più ordinaria, la mattina del 25 febbraio di un anno fa, il Papa che a bordo di una Cinquecento va a bussare di persona nella sede dell’ambasciata russa, due passi dal Vaticano, per «chiedere spiegazioni» e iniziare fin da quel momento una incessante predicazione di pace. Da allora sono stati oltre cento gli interventi, sotto forma di moniti, di appelli, inviti, richiami. Se niente è cambiato, con il conflitto che continua a imperversare, è difficile negare che la finestra dell’Angelus o le diverse udienze in piazza o nel palazzo Apostolico, siano stati i luoghi in cui la pace non si è mai stancata di ribellarsi alla rassegnazione.

La pandemia e la guerra hanno spostato tutto l’asse del pontificato. Il Papa si è trovato di fronte a due tragedie certo non nuove nella vita della chiesa, ma che ha dovuto affrontare nel corso complicato e incerto di una transizione mai così lunga e indefinita. Anche la chiesa di Francesco, si è trovata in qualche modo, in mezzo al guado. Molte sfide l’hanno interpellata a fondo e dal di dentro, con il carico delle inquietudini lasciate dal “tempo sospeso” di un misterioso virus, arrivato a scardinare certezze e a sancire una fragilità umana difficile da accettare. 

Si può certo pensare che le attese del mondo, alle prese con crisi così drammatiche, tra vecchio e nuovo, fossero più esigenti. Ma tirare le somme su questi dieci anni, mentre si avvicina l’orizzonte dell’Anno Santo del 2025, sarebbe poco meno di un arbitrio. Al Giubileo, celebrando nel 2015 quello straordinario della Misericordia, Francesco ha già dedicato una tappa significativa del suo magistero. Ciò che si può dire è che si è spinto ben oltre i limiti di un pontificato di transizione. Lo è invece il tempo che l’accompagna; e forse proprio da questo contrasto continua a fluire una vitalità che fa volgere costantemente lo sguardo in avanti. Dieci anni sono solo un primo capitolo. Tanto più per chi ha dimostrato - verrebbe da dire: pur con un ginocchio malandato - di avere il passo lungo davanti alla storia. L’agenda ha pochi vuoti. E subito dopo Pasqua, destinazione Ungheria, riprendono anche i viaggi. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA