Piazza dei Martiri,
su quei leoni
c'è il sangue della città

Piazza dei Martiri, su quei leoni c'è il sangue della città
di Vittorio Del Tufo
Domenica 29 Settembre 2019, 18:00 - Ultimo agg. 30 Settembre, 15:03
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«Lungo le sponde del mio torrente
Voglio che scendano i lucci argentati
Non più i cadaveri dei soldati
Portati in braccio dalla corrente»

(Fabrizio De André, La guerra di Piero).

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Nella città uscita a pezzi dai moti rivoluzionari del 1848 doveva sorgere una grande colonna dedicata alla pace. Un colosso di marmo sormontato da una Madonna che, in atto di pace appunto, celebrasse la fine delle rivolte popolari contro il regime borbonico, della lotta civile, degli spargimenti di sangue. Napoli si era lasciata alle spalle la terribile repressione del 15 maggio, i 500 morti per le strade, lo stato d'assedio. In un primo momento il monumento dedicato alla «ritrovata pace» doveva sorgere al largo della Carità. Poi si optò per Il Foro Carolino, l'attuale piazza Dante. Infine fu interpellato il grande urbanista Errico Alvino, milanese di nascita ma napoletano di adozione, l'archistar che avrebbe associato il proprio nome alla Villa Comunale, alla facciata della chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, al corso Vittorio Emanuele e al restauro della facciata del Duomo. Fu proprio Alvino - che aveva aperto nel 1853 la via della Pace (oggi via Domenico Morelli) e che aveva costruito sulla stessa via Palazzo Nunziante - a convincere le autorità a erigere il monumento nel luogo dove oggi si trova. E che un giorno si sarebbe chiamato piazza dei Martiri.

Così la statua della Madonna della Pace, fortemente voluta da re Ferdinando II, re delle Due Sicilie dal 1830 al 1859, fu posta in cima a una grande colonna di granito grigio nell'allora largo di Santa Maria a Cappella Nuova. E l'area prese il nome di largo della Pace, toponimo che mantenne fino al 1860.

Ma la pace che il vecchio regime intendeva ristabilire con i rivoluzionari che avevano fatto il Quarantotto era, per questi ultimi, intrisa di sangue, dolore, sacrificio e morte.

Non era pace, era martirio.
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Così, con l'annessione all'Italia, nel 1861, l'allora sindaco di Napoli, Andrea Colonna di Stigliano, decise di dedicare il monumento ai martiri napoletani. E il progetto venne affidato ancora una volta ad Alvino. La statua della Madonna della Pace, che era posta originariamente in cima, fu sostituita da una statua di Emanuele Caggiano che simboleggia la «virtù dei martiri napoletani». Sul basamento una targa di marmo recita: «Alla gloriosa memoria dei cittadini napoletani che caduti nelle pugne o sul patibolo rivendicarono al popolo la libertà di proclamare con patto solenne ed eterno il plebiscito del XXI ottobre MDCCCLX Il Municipio Consacra».
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È una storia scritta col sangue quella di piazza dei Martiri. Sul basamento quadrato in pietra vesuviana sono poggiate la basi di quattro statue leonine. I quattro leoni del monumento centrale raccontano gli ideali e il sacrificio dei caduti partenopei in quattro drammatici eventi dell'Ottocento: il leone morente, opera di Antonio Busciolano, raffigura i caduti della Repubblica Partenopea del 1799; il leone trafitto dalla spada, opera di Stanislao Lista, simboleggia i caduti carbonari del 1820; il leone sdraiato, con lo statuto del 1848 sotto la zampa, è un omaggio ai caduti liberali dello stesso anno; l'unico leone all'inpiedi, infine, è dedicato ai caduti garibaldini del 1860.

Soffermiamoci sul leone morente. Lo realizzò un grande artista dell'Ottocento, Antonio Busciolano. Nato a Potenza, figlio di contadino, nel 1835 aveva ottenuto un vitalizio per frequentare gli studi a Napoli presso il Reale Istituto di Belle Arti, divenendo allievo prediletto di Tito Angelini. Sarebbe stato proprio il maestro Angelini a trasmettergli, in una città spesso condannata alla damnatio memoriae, la passione per le gesta rivoluzionarie dei martiri della sfortunata ma gloriosa repubblica del 1799. Sono di Busciolano anche le statue dell'Immacolata e di San Pietro e San Paolo nella chiesa del Gesù Nuovo; la statua di Pier della Vigna nel cortile dell'università di Napoli; un'altra statua dell'Immacolata esposta nella Chiesa di Palazzo Nunziante.

Il leone trafitto dalla spada simboleggia, invece, i caduti carbonari del 1820, i primi tentativi di insurrezione contro il regime assolutista. È il primo luglio di quell'anno quando due ufficiali di cavalleria affiliati alla Massoneria, Michele Morelli e Giuseppe Silvati, danno il via, con il loro ammutinamento, alla rivolta che costringerà Ferdinando I di Borbone a giurare sulla costituzione spagnola del 1812. Morelli e Silvati marciarono da Nola e dalle cittadine vesuviane verso la capitale del regno con i loro reggimenti di cavalleria - lo Squadrone Sacro - seguiti da una folta schiera di cittadini. I rivoltosi anelavano a una Costituzione sul modello spagnolo, senza però destituire il Re: chiedevano, in pratica, una monarchia costituzionale. Il loro grido era «Viva Dio. Re. Costituzione». Fu una breve fiammata. Il 6 luglio 1820 Ferdinando I concesse al popolo napoletano la Carta di Madrid. Pochi mesi più tardi, lo stesso sovrano chiese l'intervento della Santa Alleanza per soffocare in modo definitivo i liberali, infine revocò la Costituzione, affidando al ministro di polizia, il principe di Canosa, il compito di catturare tutti coloro che erano sospettati di cospirazione. Tra questi c'era anche il giovane Vincenzo Bellini, allora studente presso il Real collegio della musica nell'antico convento di San Sebastiano, il quale ritrattò il proprio sostegno ai moti rivoluzionari e ottenne il condono. Accusati di «misfatto di cospirazione», Morelli e Silvati furono impiccati il 12 settembre 1822. Il corpo di Morelli, che aveva rifiutato i conforti religiosi, fu gettato in una fossa di calce viva.

Il leone trafitto dalla spada fu realizzato da Stanislao Lista, docente all'Accademia di Belle Arti di Napoli dove fu maestro di artisti come Vincenzo Gemito, Giovanni De Martino, Raffaele Armando Califano Mundo, Francesco Jerace. È sua la grande statua di Giovanni Paisiello che si trova nel vestibolo del San Carlo. Si racconta che, per realizzare nel modo più realistico il suo leone ferito, Lista si sia recato per diversi mesi allo zoo di Napoli, osservando le bestie dal vivo e traendone ispirazione.

Altra statua, altra rivoluzione. Il leone sdraiato, con lo statuto del 1848 sotto la zampa, fu realizzato da Pasquale Ricca. Rappresenta i caduti liberali del 1848, mentre l'unico leone in piedi, dei quattro, è quello scolpito da Tommaso Solari e rappresenta i caduti garibaldini del 1860.

Il monumento ai caduti napoletani dell'Ottocento offre formidabili spunti di riflessione ai cittadini di ogni credo politico interessati alla propria storia e alla propria memoria, che poi è ciò che fa da cemento all'identità collettiva di un popolo e di un territorio. Cos sono in molti a pensare che in piazza dei Martiri manchi un quinto leone, quello che avrebbe dovuto rappresentare i napoletani che giurarono fedeltà al re Francesco II e caddero nella lotta contro i Savoia.
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Slargo eccentrico, lo definì lo scrittore Mimì Rea, «rarissimo esempio napoletano del trionfo del laico e dell'umano», piazza dei Martiri - oggi dominata dalla splendida colonna che si eleva a sostegno della Vittoria Alata e dal monumento dedicato ai caduti napoletani - deve il suo primo nome a una chiesa. Santa Maria a Cappella Nuova venne demolita durante il periodo francese perché pericolante. Era stata costruita a poca distanza dalla chiesa di Cappella Vecchia, oggi sconsacrata e trasformata in una palestra.
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