Tra mito e archeologia, l'enigma della Sibilla che sussurrava agli dei

Tra mito e archeologia, l'enigma della Sibilla che sussurrava agli dei
di Vittorio Del Tufo
Domenica 7 Ottobre 2018, 16:47
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«Del resto io stesso ho visto con i miei occhi la Sibilla di Cuma che pendeva da un'ampolla, e i ragazzi le chiedevano: Sibilla, che cosa vuoi?, e lei rispondeva: voglio morire» (T.S. Elliot).

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Il «mago» Virgilio ci narra che grazie alle indicazioni della Sibilla Cumana Enea seppe che nel Lazio avrebbe trovato una nuova patria, destinata a grande fama. L'autore delle Egloghe e dell'Eneide ci racconta inoltre che, sempre grazie alla Sibilla, Enea poté riabbracciare il padre Anchise nell'Averno. Da quello scuro antro di Cuma, nel ventre di terra e pietra che si affacciava (e si affaccia) sul golfo di Napoli, la Sanctissima vates svelava ai comuni mortali segreti che solo gli dei conoscevano.

L'immenso fianco della rupe euboica s'apre in un antro
vi conducono cento ampi passaggi, cento porte;
di lì erompono altrettante voci, i responsi della Sibilla.

I pozzi di luce, l'eco delle gallerie. È un ambiente colmo di inquietudine quello dove la sacerdotessa di Cuma prediceva il futuro. Per accedervi bisognava attraversare un lungo corridoio e raggiungere un vestibolo, con sedili scavati nella roccia, che fungeva da anticamera; qui i visitatori della Sibilla si sedevano in attesa di consultarla. Il contatto con la sacerdotessa generava non poco timore, e proiettava i visitatori in un universo oscuro, quasi demoniaco. Descritto così da Virgilio nel celebre Libro VI dell'Eneide:

E parlando davanti alle porte, d'un tratto,
né il volto le resta, né uno il colore, non pettinati i capelli,
ma gonfia il petto l'affanno, fiero il cuore si riempie di rabbia,
è più grande a vedersi né umana suona la voce,
appena la investe la forza ormai vicina, del dio.

L'antro della Sibilla a Cuma, tra Pozzuoli e Bacoli, sorge a poca distanza dal lago d'Averno, la «porta degli inferi» virgiliana. Se vorrà finalmente trovare la terra destinata al suo popolo dagli Dei, Enea dovrà recarsi ad interrogare la sacerdotessa di Apollo. Per raggiungere l'aldilà, l'eroe di Virgilio deve ricorrere all'aiuto e ai consigli della Sibilla, che possiede il dono della profezia. Con Cuma, fondata nel 740 a.C. da un gruppo di coloni greci - la più antica colonia greca dell'Italia meridionale - è sopravvissuto anche il mito della Sibilla. Ma chi era la sacerdotessa di Cuma? Una figura profetica che, ispirata dalla divinità, trascriveva in esametri i suoi vaticini su foglie di palma. Queste ultime, quando la predizione terminava, erano mischiate dai venti provenienti dalle cento aperture dell'antro, rendendo i vaticini «sibillini». La Sibilla, dunque, «non profetizzava verbalmente ma, spinta dal furore divino, scriveva i suoi oracoli su foglie che poi disperdeva e confondeva nel vento. Profetizzò la Vergine che avrebbe partorito, l'arrivo dei Magi e la terribile distruzione di Cuma» (Roberto De Simone, Il segno di Virgilio).

Alla Sibilla Cumana è anche legata un'antica leggenda:

Apollo innamorato di lei le offrì qualsiasi cosa purché ella diventasse la sua sacerdotessa, ed ella gli chiese l'immortalità. Ma si dimenticò di chiedere la giovinezza e, quindi, invecchiò sempre più finché, addirittura, il corpo divenne piccolo e consumato come quello di una cicala. Così decisero di metterla in una gabbietta nel tempio di Apollo, finché il corpo non scomparve e rimase solo la voce. Apollo comunque le diede una possibilità: se lei fosse diventata completamente sua, egli le avrebbe dato la giovinezza. Però ella, per non rinunciare alla sua castità, decise di rifiutare.

C'è chi però racconta la storia in tutt'altro modo.
La Sibilla Eritrea (da Erythre, una città della Ionia di fronte a Chios) si sarebbe trasferita a Cuma poiché Apollo le aveva concesso di vivere tanti anni quanti erano i granelli di sabbia che poteva tenere in mano, a condizione di non toccare mai più la patria di Erythre. Morì quando gli eritresi le inviarono una lettera con un sigillo fatto di terra.
Massimo Centini, esperto di antropologia culturale e religiosa, sottolinea come, con l'avvento del Cristianesimo, la Sibilla sia diventata una figura temibile, più vicina all'universo demoniaco che a quello della profezia pagana (Centini, Guida insolita ai luoghi misteriosi, magici, sacri e leggendari d'Europa). Alla Sibilla la leggenda attribuiva una durata di vita straordinaria. Forse proprio a causa dell'incantesimo dell'innamorato Apollo! Con Sant'Agostino (De civitate Dei) le Sibille smisero di godere cattiva stampa presso i cristiani. Poiché non avevano mai indotto all'adorazione di false divinità, guadagnarono il diritto di essere annoverate tra coloro che appartengono alla città di Dio.

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Non solo viaggiatori illustri, ma anche poeti come Petrarca e Sannazaro visitarono Cuma descrivendola nelle loro opere. Questa la testimonianza di Petrarca (Epistola poetica):

Ecco il temuto speco
Già stanza alla fatidica Sibilla
Ecco la rupe che al sulfureo Averno
Ardua sovrasta, oggi dagli anni infranta
Ed ecco invece i versi di Iacopo Sannazaro (Elegiae):

Qui, dove sorgevano le inclite mura della famosa Cuma, prima gloria del mar Tirreno... ora una fitta foresta nasconde belve selvagge. E dove erano nascosti i segreti della profetica Sibilla, ora il pastore chiude le pecore sazie al tramonto.

Figura maestosa e tremenda, tra le più complesse e affascinanti della mitologia greco-romana, la misteriosa sacerdotessa che sussurrava agli dei continua ad affascinare poeti, archeologi, ricercatori e turisti provenienti da ogni parte del mondo. La tradizione mitologica vuole che Kyme, Cuma, sia stata fondata da Dedalo, atterrato sulla collina dell'acropoli dopo il lungo volo dal labirinto di Creta per edificare un tempio ad Apollo. La lunga galleria rettilinea a sezione trapezoidale nota come antro della Sibilla fu scoperta nel 1932, durante la campagna di esplorazione condotta da un archeologo tenace, Amedeo Maiuri. La grandiosa galleria conduceva a un antro centrale, illuminato da altri sei cunicoli laterali. Naturalmente non esiste alcuna prova archeologica che il camminamento sotterraneo corrisponda proprio al luogo del Mito, al luogo cioè dove la profetessa del dio Apollo riceveva i suoi fedeli e prediceva loro il futuro.

Ma nei Campi Flegrei, come a Napoli, il mito e la storia, la realtà e la leggenda si confondono fino a formare un intreccio inestricabile; non è un caso che la tradizione mitologica abbia identificato proprio nei vulcani dei Campi Flegrei il Ciclope dall'unico occhio della letteratura omerica. È probabile che la galleria scoperta da Maiuri (oggi l'antro è visitabile all'interno del sito archeologico in cui si trova, che vanta anche la presenza dei Templi di Apollo e di Giove) fosse in realtà un'opera difensiva, interamente scavata nel tufo: una struttura militare al servizio della città e del porto sottostante. La distruzione di Cuma - nel 1207, ad opera delle armate napoletane - non ne aveva cancellato il ricordo, come non aveva cancellato il ricordo - come avrebbe potuto? - della sacerdotessa che girava le viti del mondo.
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