«La morte aveva invaso ogni spazio, persino lo sguardo dei vivi, impregnandolo di incredulità»
(Pierre Lemaitre, Irene)
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L'ospite indesiderato si presentò a Napoli alla fine del 2014. Arrivò senza farsi annunciare. Arrivò per seminare la morte.
E da quel momento nulla fu più come prima.
L'ospite indesiderato si chiamava Toumeyella parvicornis, ma è più conosciuto ancora oggi con il nome cocciniglia tartaruga. È un malefico insetto succhiatore, importato dal Nord America: è riuscito ad eludere i controlli fitosanitari e ad infestare, in pochi mesi, i pini di Napoli (Pinus pinea). Ovvero la nostra bellezza e la nostra memoria, uno dei simboli della città e del nostro paesaggio. Aver consentito che la cocciniglia tartaruga dilagasse, senza porre un argine alla sua aggressività, nonostante gli allarmi lanciati per tempo dagli agronomi e dagli stessi cittadini, è alla base dello scempio della collina di Posillipo, ridotta a cimitero di tronchi segati. Anni di mancata cura del territorio - e di occhi chiusi sul disastro - hanno provocato nella collina che «placa il dolore» gli stessi effetti di uno tsunami. Pini abbattuti, strade sventrate, belvedere sfregiato. Un crimine contro i cittadini di quel quartiere - basta percorrere ciò che resta di via Tito Lucrezio Caro per rendersene conto - e contro tutti i napoletani. Insomma, un delitto perfetto. Ed una conclamata violazione dell'articolo 9 della Costituzione, che prevede espressamente la tutela del paesaggio accanto a quella del nostro patrimonio storico e artistico.
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Cosa succede quando un pino è attaccato da questo parassita? Succede che l'intera pianta in breve tempo assume un aspetto più scuro, sofferente, evidente anche da lontano. A Posillipo, Agnano, Fuorigrotta, furono gli stessi abitanti, alla fine del 2014, a segnalare alle autorità fitosanitarie la forte produzione di melata, che depositandosi a terra rendeva il fondo scivoloso, oltre a imbrattare tutte le auto parcheggiate sotto ai pini. Quella melata - ovvero la sostanza resinosa prodotta dalla cocciniglia durante l'infestazione, sostanza in grado di attirare parassiti e funghi - era un indizio che avrebbe mandato in solluchero Sherlock Holmes. Purtroppo, alla fine del 2014, non c'era alcun Sherlock Holmes in grado di intercettare per tempo il pericolo e correre ai ripari per contrastare la diffusione della cocciniglia tartaruga.
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Diceva lo scrittore Lawrence Durrell che siamo tutti figli dei nostri paesaggi. Lo diceva parlando di Alessandria, «una città sconfitta, con le sue case levantine che si scrostano al sole». Oggi anche Napoli è una città sconfitta, perché non ha saputo proteggere il suo verde. Non ha saputo mettere in campo una rete di protezione adeguata per impedire un assalto annunciato, l'assalto dell'avido insetto succhiatore di linfa. Così i pini di Posillipo sono diventati luoghi della memoria: a cominciare dai pini del Virgiliano, piantati tra il 1932 e il 1936 - a distanza troppo ravvicinata, sostengono gli esperti - in ricordo dei caduti d'Africa.
La subdola Toumeyella può portare alla morte un pino nel giro di 3 anni. «Le cocciniglie - spiega Alessandra Vinciguerra, direttrice dei Giardini La Mortella di Ischia e presidente della prestigiosa Fondazione Walton - si attaccano sui rami di pino, succhiando la linfa e producendo enormi quantità di melata resinosa che dà al pino e a tutto quello che si trova al di sotto un aspetto lucido, quasi bagnato. Inoltre, la melata è appiccicosa ed imbratta tutto. In seguito, muffe fuligginose si sviluppano sulla melata, ricoprendo di fumaggine nera anche il terreno ed i manufatti che si trovano sotto le piante colpite. Tutto assume un aspetto sporco e morente».
Insomma la melata prodotta dalla cocciniglia imbratta gli alberi, favorendo lo sviluppo di fumaggini che li fanno diventare neri ed impediscono la fotosintesi, provocandone un veloce deperimento e, in breve tempo, la morte. Così Posillipo è diventato un cimitero di tronchi segati, un paesaggio urbano dominato da marciapiedi sventrati e manti stradali sollevati dalle radici dei pini. Si poteva evitare?
Si poteva e si doveva evitare. Gli agronomi studiano da anni il comportamento della cocciniglia tartaruga e hanno individuato rimedi efficaci per neutralizzarne l'assalto. Parliamo di studi internazionali, ai quali ha collaborato in passato anche l'università Federico II di Napoli.
Perché a Posillipo, invece, l'operazione di salvataggio è fallita? Fondamentalmente per due motivi: la manutenzione inesistente o tardiva e la totale inadeguatezza delle risorse economiche e umane. Il Comune, in predissesto finanziario, continua a destinare al verde pubblico le briciole del suo magro bilancio. Mentre giardinieri ed agronomi, andati in pensione, non sono stati sostituiti da nuove figure professionali. Anziché intervenire per tempo si è consentito - complice anche l'insufficienza e l'età avanzata dei dipendenti comunali addetti al verde - che la devastazione avanzasse, e la giungla urbana crescesse indisturbata arrivando a invadere i marciapiedi. Alla fine si è scelta la strada più facile - segare i tronchi - trasformando la collina più bella del mondo in un orribile paesaggio lunare. «I pini - conferma Benedetta de Falco, presidente del Premio GreenCare - sono stati lasciati morire perché è mancata una programmazione della gestione del verde coerente con i fabbisogni e le criticità ampiamente previsti. Se nel 2007 il servizio giardini del Comune di Napoli poteva contare su 1067 unità, nel 2021 queste si sono ridotte a 159. Questa mancanza di organico invece di essere colmata per tempo con l'attivazione di accordi e convenzioni con l'Ordine degli Agronomi e i dipartimenti di Agraria, ha dato origine alla cooptazione di eserciti di disoccupati, senza alcuna qualifica agronomica e botanica, inseriti in cooperative sociali. Così in una manciata di anni il verde di Napoli, principalmente storico, come quello della collina di Posillipo, è stato trattato da operai generici per le potature e Vigili del Fuoco per gli abbattimenti».
Quello che è accaduto è epocale. Il nostro paesaggio urbano è oggi irrimediabilmente compromesso dallo scempio dei pini e del verde pubblico. È venuto meno il rapporto di fiducia tra i cittadini e le istituzioni, che avevano il preciso dovere (anche costituzionale) di fermare la devastazione prima che fosse troppo tardi. Ora che il danno è fatto - i pini sono morti e sepolti - non resta che guardare al futuro, cercando di ripristinare le condizioni minime di decoro e non ripetere gli errori del passato.
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Occorrono professionalità e competenze. La collina va liberata dai ceppi e contestualmente bisogna provvedere al rifacimento dei marciapiedi e del manto stradale. Ciò per evitare che il degrado generi nuovo degrado e senso di abbandono. Napoli non potrà prescindere da un master plan del verde, che abbia come pietra angolare il censimento aggiornato del patrimonio green comunale. Ai politici di ogni colore che si affollano al capezzale di questo quartiere sventrato - una zona delle città che affonda le sue radici nel mito, nella leggenda - suggeriamo di astenersi, per il futuro, dalle promesse non realizzabili: nuovi alberi dovranno essere messi a dimora, ma a ciascuno di essi dovrà essere garantito un progetto di manutenzione e cura. Insomma un futuro. Quello che ai pini di Posillipo è stato negato.