Anastasio torna con il nuovo album: «Tra Lucrezio e Bukowski l'hip hop è Mielemedicina»

Anastasio torna con il nuovo album: «Tra Lucrezio e Bukowski l'hip hop è Mielemedicina»
di Federico Vacalebre
Mercoledì 23 Febbraio 2022, 11:00
5 Minuti di Lettura

Il primo pezzo, «E invece», completa la storia della bomba fatta esplodere con «Rosso di rabbia» al Sanremo 2020: quando tornò a casa dall'Ariston (Marco) Anastasio, come tutti noi, si consegnò agli arresti domiciliari causa Covid. Il secondo pezzo, «Assurdo», sembra invece la rottura con le radici rap, scegliendo la forma canzone per iniziare una riflessione a tutto tondo, che mette la parola al centro di tutto: «Mi hanno detto cresci/ poi mi hanno insegnato qualche filastrocca/ che non basta mai per capire il mondo/ ed io mi presentai che avevo scritto un pezzo./ Il primo verso era Non sono pronto/ e dal secondo in poi potevo stare zitto/ Non capivo niente, però quello sempre,/ non capivo niente, però questo sì/ che non sono pronto ancora a questo mondo/ che va ad un ritmo folle come i colibrì e/ dentro questo schermo ammazza-tempo/ mi annego/ mi chiudo/ e fuggo». 

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Il terzo brano di «Mielemedicina», in uscita dopodomani, però, Anastasio, ti riporta all'hip hop e con «Babele» tocca il cuore del discorso che in questo secondo album sembra starti più a cuore: «Va bene va tutto bene/ sorge la torre di Babele tra le macerie/ sopra le ceneri dell'Eden fanno un cantiere/ ma troppe voci fanno bla bla bla/ C'era in principio una lingua bambina/ Adamo col dito puntato diceva: collina/ nuvola donna, una mora squisita/ Ecco: prendi questa nocciolina».
«La mia pausa non è stata dettata dalla pandemia, che pure mi ha costretto a casa, a scrivere.

Forse sarei stato in silenzio lo stesso questi due anni, durante i quali mi è capitato di riflettere sul livello zero del linguaggio a cui siamo arrivati. Abbiamo depotenziato il linguaggio, separato il suono dal significato di ogni cosa che diciamo. Così chi alza la Torre di Babele arriva in alto solo per rimpiangere la terra. Ma è anche un discorso sul potere».

Iniziato già con «E invece»?
«Sì, all'Ariston mi ero fermato con questa bomba per le mani, non si sapeva dove sarebbe esplosa, ora ho capito che è innocua, che al potere di plastica rispondi con armi di plastica, con l'ironia».

Potere di plastica?
«Sì, liquido, finanziario, mascherato».

Bombarolo disarmato, costretto all'ironia, come reagisce il ventiquattrenne venuto da Meta?
«Con l'unica arma non di plastica che posseggo, la musica, i miei versi, la mia ironia».

Musica che si apre ad esperimenti inattesi in «Tubature», che ricordano quelli nati dall'incontro del jazz con la beat generation.
«Ho conosciuto Stefano Bollani quando mi ha invitato al suo programma televisivo, ci è venuta la voglia di fare una cosa insieme, spontanea, naturale, il jazz e il rap sono fratelli di strada».

Bello davvero. «L'uomo, il cosmo» porta, invece, la firma di Boosta.
«Lui ha dato il là al pezzo, costruito intorno al suo pianoforte».

«Annunciata la morte di Dio/ adesso si lotta per prenderne il posto» rappi in «Simbolismo», riflessione sulla religione e dintorni, mentre «L'impero che muore» in fondo è il secondo tempo di «Babele».
«È il racconto di una società, di una civiltà. Il popolo assalta il castello, ma non trova più il re, ma solo un labirinto. Forse il re non è mai esistito, forse serviva a tutti noi per assolverci dalle nostre colpe, forse è scappato in tempo, lasciandoci in balia di un algoritmo».

«Dea dai due volti» cita Baudelaire.
«Sì, sua è l'immagine della donna demone e domina: lo diceva di Jeanne Duval, capace di farlo felice, di mandarlo all'inferno con un sorriso».

La poesia sembra un'altra delle armi che usi in questo disco controcorrente, senza tormentini, senza autotune, senza reggaeton, senza trap, senza «feat»...
«La poesia mi ha aiutato a crescere, ad uscire da certo adolescenzialismo prolungato in cui ero rimasto invischiato. Così il titolo del disco viene da Lucrezio e mi autorizza ad usare suoni dolci per messaggi amari, e altrove ci sono Rilke e Bukowski, ma anche un poeta meno noto come il marchigiano Massimo Ferretti».

Riuscirà la tua «Magari» a far scoprire a qualcuno le liriche di questo intellettuale misconosciuto scomparso il 20 novembre 1974? Intanto com'è passato per te il tempo dal 2018 ad oggi, dall'exploit di «X Factor» a questo secondo album?
«Noi uomini dominiamo lo spazio, non il tempo, che usiamo bene o mal; ed io spero di averlo fatto bene concedendomi anche il lusso di sprecarlo».

È tempo di tornare sul palco?
«Non vedo l'ora, sono pronto. Riparto il 6 aprile, a Napoli ci vediamo il 22 al Duel, confermo la formazione a trio del mio primo, e finora unico tour. Ma il repertorio è più lungo. E io più maturo. Spero». 

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