È ancora poesia cruda? Si può chiedere ancora poesia cruda a Luchè (Luca Imprudente, 43 anni) e ‘Nto’ (Antonio Riccardi, 42)? Ed è lecito, poi, chiedere ad artisti in movimento di tornare indietro nel tempo, nello stile, nel flow, come se vivessero ancora chiusi tra le palazzine di Marianella?
Il rap c’è tutto, splendido splendente: (g)old style, ma anche attentissimo alle new school, verace, spavaldo, spietato, incalzante, sin dal primo pezzo, «Nu creature int’o munno», produzione di Dat Boi Dee. «Ci pavavano ‘o treno, mo’ simmo ‘o treno», rivendica «Dinastia», l’album - in uscita oggi - del ritorno dei Co’Sang, leggenda dell’hip hop newpolitano, che, grazie a loro, ha iniziato a dettare legge in Italia sin dall’esordio-scoop di «Chi more pe’mme» (2005) e al bis di «Vita bona» (2009), prima dello scioglimento annunciato via Facebook del 14 febbraio 2012.
Dodici anni dopo, qualcuno dubita che i due abbiano fatto pace davvero e aspetta di vederli insieme in carne ed ossa alla prima occasione possibile: domani, alle 15, per un firmacopie al Vulcano Buono di Nola.
Ma «Carne e ossa», beat di Peppe ‘O Red, è feroce, torna dove tutto era iniziato, in quella terra desolata che abbiamo chiamato Gomorra tra versi come «Chisto è ‘o flow che ha cambiato ‘o rap a Napule», la vista di «’O primmo muorto ‘nterra a 9 anni», punchline ed incastri magistrali... Poesia cruda, forse oggi persino crudissima, visto il politicamente correct che sembra star colpendo anche il pianeta hip hop in nome dell’approdo al mainstream ed alla classifiche.
Certo, anche i Co’Sang sono consapevoli della centralità del rap sulla scena italiana, «Nun è mai fernut’» parla d’ammore o forse è pura autobiografia dal sound black che potrebbe conquistare le radio finalmente aperte al dialetto napoletano. «Cchiù tiempo», gioca alla doppia reunion con i Club Dogo, al mixer ci sono Geeno e Don Joe, ai microfoni si aggiungono Jake La Furia e Guè. Certo, non c’è l’urgenza bastarda di «Int’’o rione», ma la vita dei due Co’Sang è ormai uscita dal rione, è diversa da allora, come la nostra, e non merita, e non meritiamo, esercizi di autoclonazione, ma racconti senza peli sulla lingua sì: «14 febbraio 2012 n’impero ch’è caduto ce lassaje cu l’uocchie lucide, mezza scena me cercava pe’ fa ‘e condoglianze, ma comme me giravo po’ stappavano ‘o champagne». Cchiù tiempo avrebbero voluto Luche’ e ‘Nto per capire che cosa stava succedendo, cchiù tempo avremmo voluto noi con loro, per non restare soli sino all’apparire di Liberato («Sbagli e te ne vai») e di Geolier («Perdr a cap», orecchiabilissima) a confermarci che c’era qualcosa di nuovo, di newpolitano, nell’aria. E che bello sarebbe se ci fossero anche loro sul palco di piazza del Plebiscito il 17 (sold out) e il 18 settembre, a tessere il filo rosso, a dire come «Raggia e tarantelle» sia alla base di tanto di quello che oggi ha rimesso Napoli al centro dell’attenzione, anzi l’ha messa al centro dell’attenzione come non era mai stata.
«Nu cuofn ‘e sord» è autocelebrazione arrogante come da manuale, puro canto ipnotico del riscatto della periferia: «Pare New York ‘o 95 quando Secondigliano era ‘na farmacia». E celebrazione del duo è la presenza di king Marracash in «Carnicero», un «banger» commenteranno i ragazzini ammirati dai fuochi d’artificio verbali. «O primm post» rivendica un primato che esiste dagli esordi, anche se non nelle top ten ufficiali, come conferma («Vincente»): «Non so nu trend fra, ji song na leggend». Napoli è panorama e oggetto dell’atto d’ammore di «Comme na fede».
Poesia cruda? Le domande di inizio pezzo sono tutte ancora senza risposta, ma c’è un verso che spiega la coppia ritrovata e, un po’ anche noi: «Tupac ce faceva sentere cchiù napulitane».
Poesia cruda? Boh, di sicuro voci di dentro. Luche’ e ‘Nto hanno mostrato la strada, hanno diviso le loro strade, ora sembrano camminare di nuovo sulla stessa strada. Forse non è tutto oro che luccica. Ma su quella strada è cresciuto il miglior hip hop italiano, siamo cresciuti noi, è cresciuta la scena italiana. Massimo rispetto per la «Dinastia» Co’Sang. Ci vediamo sotto il palco al Plebiscito.