«Io e Gil Dor abbiamo incontrato il Solis String Quartet ventitré anni fa e da allora non abbiamo smesso di condividere esperienze in giro il mondo», spiega Noa a proposito del concerto che la porta questa sera sul palcoscenico del Trianon (sold out, naturalmente), assieme al suo irrinunciabile chitarrista e al quartetto partenopeo capitanato da Antonio Di Francia: «Ogni volta è come trovarsi a casa con gli amici a goderci la musica e la vita. Questa è la vera ragione del nostro ritrovarci e penso che, dopo l'esperienza del Covid, il senso sia chiaro a tutti. La vita è bella, ma breve, per questo dobbiamo fare ciò che amiamo. O, almeno, provare a farlo più che si può». Dopo l'avvio speciale partenopeo, ripartirà il 4 maggio dal Petruzzelli di Bari con il tour che celebra i suoi primi 30 anni di carriera.
Lo spettacolo di stasera si intitola «Tribute to Neaples». Undici anni dopo l'album «Noapolis - Noa sings Napoli» (e sedici dopo «Napoli-Tel Aviv») com'è cambiato, se è cambiato, il suo rapporto con la città?
«Sfortunatamente non riesco a passare qui tutto il tempo che vorrei, ma non penso che il mio rapporto con Napoli sia cambiato. La relazione di calore e amore con la città rimane intatta. In questo momento, Napoli vive grande popolarità sui giornali e negli ambienti culturali israeliani per l'incredibile successo ottenuto in tv da L'amica geniale, la serie attinta dai romanzi di Elena Ferrante. Tutti li conoscono e tutti ne parlano. Ne ha risentito anche il turismo, che ha visto moltiplicarsi in modo esponenziale il numero di israeliani che mettono Napoli tra le mete delle loro vacanze».
La serie lei l'ha vista?
«No, guardo poco la tv e me la sono persa. Ma Napoli ha lo stesso un posto nel mio cuore grazie alla musica. È un vero miracolo che, dopo tutti questi anni, riesca ancora a cantare queste canzoni napoletane e a farmi prendere dal loro sentimento. Non mi capita di metterle in repertorio spesso. Le ho, però, ancora bene in testa e quando devo cantarle mi basta premere il pulsante».
Che spettacolo avete preparato con il Solis?
«Abbiamo diviso il repertorio in due parti.
Ha delle canzoni preferite?
«Ho messo nel programma solo canzoni molto amate. Proprio per questo ne ho lasciate fuori alcune meravigliose, ma senza il legame affettivo delle altre. Fra le tante posso citare Sia maledetta l'acqua, canzone profonda, dolorosa, a suo modo inquietante, che amo moltissimo perché tocca l'argomento delle incredibili sfide affrontate dalle donne nel tempo».
E poi?
«Un'altra è Santa Lucia luntana con le sue storie d'emigrazione. Me la sento addosso perché sono stata pure io un'immigrata. Quando con la mia famiglia ci trasferimmo negli Stati Uniti incontrammo tanti napoletani che avevano fatto la stessa scelta. Per me cantarla è un modo di rendere omaggio a tutte quelle persone partite in cerca di un futuro migliore».
Da bambina, qual è stato il suo primo contatto con la canzone napoletana?
«Quando vivevo a New York con i miei, avevamo per vicini proprio dei napoletani divenuti col tempo amici di famiglia. Ricordo di aver scoperto fin da piccolissima Torna a Surriento. La cultura partenopea è molto radicata a New York. Così, quando ho iniziato a frequentare l'Italia, è stato naturale accostarmi innanzitutto alla musica napoletana».
Il suo ultimo album, «Afterology», è una raccolta di canzoni d'amore. Cosa si prova a cantare l'amore in un momento in cui al mondo d'amore sembra essercene abbastanza poco?
«Tutti gli album che ho inciso li ho fatti per amore perché non c'è un momento giusto o sbagliato per cantarlo. Al contrario, quando smettiamo di cantare o di vivere con amore ci ritroviamo in enormi tragedie come quella che stiamo vivendo. L'unico modo sano di vivere è farlo con quanto più amore si può. Quando l'amore esce dai nostri cuori e dalla nostra vita, non restano che l'egoismo, l'avidità, il dolore e la violenza e, alla fine, la guerra».