Rosalia Porcaro: «La mia Napoli tutta in periferia, così è nata Veronica»

Rosalia Porcaro: «La mia Napoli tutta in periferia, così è nata Veronica»
di Maria Chiara Aulisio
Venerdì 10 Dicembre 2021, 20:00
5 Minuti di Lettura

La sua Napoli oggi è quella del Vomero, dove vive ormai da diversi anni. «Mi sembra di essere in vacanza - racconta - forse perché vengo da Casoria e allora stare qui mi piace assai. Il mare è abbastanza vicino e poi ci sono gli alberi e il verde: da bambina li ho tanto desiderati e ora non potrei più farne a meno». Rosalia Porcaro - Veronica, Natasha, Creolina, Assundham, per citare solo alcuni dei personaggi che hanno conquistato il grande pubblico - era una ragazzina talmente timida e introversa che nessuno avrebbe mai pensato che sarebbe diventata un'attrice, perfino comica.

Veramente tanto timida?
«Molto».

E lo spettacolo?
«Fu un problema enorme anche solo riuscire a dirlo che volevo fare l'attrice».

Dirlo in famiglia?
«Sapevo che nella migliore delle ipotesi mi avrebbero fatto una risata in faccia.

Per due ragioni».

Quali?
«La prima, ovviamente per il carattere. Mi conoscevano molto bene: Rosali', ti metti vergogna pure dell'ombra tua, ma come la fai l'attrice?».

La seconda?
«Vengo da una famiglia popolare, umile direi. Tanti figli, mamma casalinga e un solo reddito, quello di mio padre. Di soldi non ce ne stavano mai abbastanza e fare teatro, per loro, non poteva essere un mestiere».

E però poi ce l'ha fatta.
«Passione e determinazione: mix infallibile».

Tutto è cominciato con Telegaribaldi.
«Anche prima per la verità. A parte il palcoscenico della scuola, mi avvicinai molto presto al mondo del teatro amatoriale. E così, piano piano, un po' alla volta, le compagnie iniziarono a offrirmi piccoli ruoli».

Primi passi verso il successo.
«Andava tutto bene ma non era esattamente ciò che volevo».

Qual era la sua ambizione?
«Sentivo di avere una vena comica, gli amici continuavano a ripetermi: il cabaret devi fare, sei bravissima».

E lei lo ha fatto.
«Sì, ma se non avessi vissuto a Casoria, in quel contesto così povero e faticoso, forse non ci sarei riuscita così. E probabilmente non avrei mai neanche pensato a personaggi come Veronica».

Come è nata Veronica?
«Dalla realtà. Le mie compagne di classe, tra l'altro brave e studiose, tornavano a casa e si mettevano a cucire i guanti. Lavoravano per aiutare le famiglie. Così è nata Veronica, operaia in una ditta di borse. Sono partita con l'idea di far ridere e mi sono ritrovata a raccontare un mondo che non aveva alcuna visibilità».

Sacrifici e lavoro abusivo.
«Le fabbriche a nero sono una realtà soprattutto della provincia. I miei personaggi descrivono quasi sempre il mondo in cui ho vissuto».

Ce n'è uno al quale si sente particolarmente affezionata?
«Non mi innamoro mai di ciò che interpreto. Anzi, dopo un po' mi annoio pure».

Si annoia?
«Trovo alienante ripetere sempre le stesse cose. Veronica, ad esempio, benché sia ancora attuale, anzi forse pure più di prima, non cambia mai. Il modello è quello. Diversa, invece, la signora Carmela».

Quella che so tutto io?
«Si spaccia per donna di cultura - j teng e libbr pe' tutt' part - vive nell'orgoglio esagerato per i figli laureati e nel disprezzo totale di Pasqualino, il marito disoccupato».

Severa e intransigente, l'ha definita.
«Ma non cattiva. Insofferente alla vecchiaia che avanza, riversa sui poveri malcapitati tutto il livore che ha in corpo. In particolare sulla fidanzata del figlio».

Perché le piace tanto la signora Carmela?
«Non è mai uguale a se stessa. Parla di tutto, dall'inciucio alla politica, cambia continuamente discorso e ragionamenti. Mi consente di affrontare col sorriso anche temi molto seri. È come se raccogliesse tanti personaggi in uno».

Con Veronica però diventò un simbolo di legalità.
«Alcuni sindacalisti mi notarono a Telegaribaldi, in onda su Teleoggi, e mi invitarono a una manifestazione contro il lavoro nero. Partecipai nei panni di Veronica: doveva essere un breve intermezzo, alla fine venne fuori un vero e proprio comizio».

Successo strepitoso.
«Subito dopo a contattarmi fu Gad Lerner, conduceva Pinocchio, su Raidue. Anche lì, in una puntata dedicata al lavoro sommerso, la mia apparve più come un'autentica testimonianza che una performance comica. Fu la mia prima incursione a livello nazionale».

A Telegaribaldi come ci arrivò?
«Per caso. Avevo partecipato a una serata di giovani comici emergenti al Maschio Angioino, a presentare c'era Francesco Paolantoni. In sala Alan De Luca e Lino D'Angiò: mi proposero subito di far parte della squadra».

Bella avventura.
«Straordinaria. La Napoli di quel periodo la ricordo ancora con emozione. E poi la gente, davvero speciale. Piacevo al popolo - al mio pubblico naturale per intenderci - ma anche agli intellettuali e ai professionisti».

Parliamo di Natasha, la cantante neomelodica.
«Sesso senza cuore u u, sesso senza amore u u. Stravolgevo regolarmente le puntate della trasmissione della Dandini, L'ottavo nano. Quanto ci siamo divertite con Serena».

Assundam?
«Una desperate housewife in salsa afgano-partenopea. A Zelig trionfammo».

Ma la questione della timidezza poi come l'ha risolta?
«Sul palco. Sembrerà anche strano ma è il luogo dove mi rilasso di più. Come quegli attori che so' pieni di tic. Poi si alza il sipario e passa tutto. A me succede sempre così». 

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