Juliano, l’orgoglioso condottiero che sprovincializzò la sua Napoli

La dedica di Gianfelice Facchetti figlio di Giacinto

Totonno Juliano
Totonno Juliano
Francesco De Lucadi Francesco De Luca
Giovedì 11 Aprile 2024, 07:00 - Ultimo agg. 18:05
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Gianfelice Facchetti, scrittore e regista teatrale, è il figlio di Giacinto, una delle colonne del calcio italiano. La sua passione per quel mondo conosciuto da bambino seguendo il padre campione d’Inter è intatta. Il mondo dei cosiddetti “uomini verticali” e dei Capitani. E quell’attenzione è diventata un libro - “Capitani: miti, esempi, bandiere” (Piemme Edizioni, pag. 224, euro 18,90) - in cui Facchetti racconta le storie di oltre trenta capitani, partendo da quella di papà Giacinto.

Un capitolo è dedicato ad Antonio Juliano, che di Facchetti fu compagno nella Nazionale campione d’Europa nel 1968 e vice campione del mondo nel 1970 e avversario nelle sfide tra Inter e Napoli, quando da queste parti lo scudetto era un sogno e quei confronti con le milanesi e la Juve rappresentavano il momento di maggiore esaltazione di una stagione. Totonno se n’è andato il 12 dicembre di un anno fa, nella notte in cui il suo amatissimo Napoli giocava una partita di Champions League al Maradona. Ammalato da tempo, era ricoverato presso l’ospedale Fatebenefratelli in via Manzoni: non riuscì ad ascoltare l’urlo “The Champions” che salì da quello stadio dove aveva giocato per quasi tutta la sua carriera. Mito, esempio, bandiera: Juliano fu questo nelle 16 stagioni azzurre, 506 partite e alcuni trofei, oltre a due colpi di mercato che fecero la storia, Krol nel 1980 e Maradona nel 1984. 

Gianfelice Facchetti nell’omaggio al “Capitano di Napoli”, dunque simbolo della città e non solo della squadra, parte dal clamoroso errore che fecero nello stadio di Udine: durante il minuto di raccoglimento dedicato a Juliano sul tabellone apparve la foto di Paolo Pulici. «Questa serie di sbadataggini e distrazioni mi sembra abbastanza emblematica della superficialità con cui tocca avere a che fare, a volte, quando nel calcio irrompe la storia», scrive, ricordando con ironica sofferenza gli eventi a Milano in cui gli veniva chiesto come stesse il padre, da tempo morto.

Figli della guerra, Juliano e Facchetti realizzarono il sogno di diventare campioni grazie ai loro sacrifici. Le parole di Antonio nel libro: «Non ricordo che ci mancasse qualcosa. Il perché l’ho capito dopo. Non ricordo di avere visto mai mio padre e mia madre andare al cinema. La casa, i figli, il lavoro, questa era la loro vita. A me pagavano pure la scuola privata». La brillante carriera calcistica di quel ragazzo sarebbe stata il riscatto sociale non solo di una famiglia ma di un territorio. 

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Ecco perché Juliano diventò - come scrive Facchetti - «un condottiero autentico che voleva sprovincializzare la “sua” Napoli». Portarla al di là e al di sopra dei luoghi comuni che rappresentavano uno sfregio alla sua cultura, alla sua bellezza, alla sua umanità. «Restò sempre fedele alle proprie origini e regole, un fuoriclasse di serietà e dedizione poco incline a spendere parole, ma piuttosto a dare l’esempio con i comportamenti». Ecco perché rifiutò - ricorda Corrado Ferlaino, il suo presidente - di essere ceduto al Milan di Franco Carraro: sarebbero stati utili quegli 800 milioni al Napoli che non aveva solide finanze all’epoca, però Antonio non volle. Chiuse la carriera a Bologna, ma quella fu un’altra storia. Sarebbe tornato da dirigente a Napoli e avrebbe piazzato il colpo di mercato della storia. Lui e Diego, capitani con due differenti numeri di maglia, l’8 e il 10, e due differenti caratteri. «Capitani diversi, anime complementari di un luogo geografico che da sempre è un modo di sentire, per chi ci è nato, ma anche per chi ci arriva da un’altra latitudine e riesce a captarne le vibrazioni, per chi ha saputo tradurle agli occhi degli spettatori sugli spalti. Uno con estro e fantasia, l’altro con maggior rigore e perseveranza, entrambi ambasciatori con la fascia al braccio di un popolo e delle sue radici», li descrive Facchetti. Antonio e Diego, Capitani del cuore.

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