Piero Angela, Viola: «Mi ha insegnato a coltivare la curiosità, è la dote principale per uno scienziato»

Piero Angela, Viola: «Mi ha insegnato a coltivare la curiosità, è la dote principale per uno scienziato»
di Mariagiovanna Capone
Domenica 14 Agosto 2022, 08:38 - Ultimo agg. 15 Agosto, 09:55
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«Almeno due generazioni di scienziati italiani devono parte della loro sete di conoscenza a Piero Angela». Ne è convinta l'immunologa Antonella Viola, direttrice scientifica dell'Istituto di ricerca pediatrica Città della Speranza e docente di Patologia generale all'Università di Padova, profondamente colpita per la morte del grande divulgatore scientifico.

Viola, lei era tra gli spettatori dei programmi di Piero Angela?
«Per me e la mia famiglia era un appuntamento importante, mio padre era un appassionato di scienze e non perdeva una puntata di SuperQuark o Il mondo di Quark.

Mi vengono in mente le serate trascorse davanti la tivù, la sua dialettica semplice con cui era capace di catalizzare l'attenzione di adulti e bambini. Due ore trascorse a immaginare universi, scoperte scientifiche, l'interno del corpo umano».

Secondo lei i programmi di Angela l'hanno avvicinata alle scienze?
«Senza dubbio, ma non soltanto me, lo hanno fatto per molti di noi. E sa perché ne sono convinta? Perché la chiave di lettura dei programmi di Piero Angela era proprio quella di voler avvicinare tutti al mondo scientifico. Lui era curiosissimo prima di tutto, e questa sua fame di conoscenza l'ha riversata nei suoi programmi, il suo modo di approcciare fisica, medicina o astronomia era sempre appassionante. Io avvertivo questa sua passione e l'ho assorbita, facendola mia crescendo e diventando scienziata. È stato il primo maestro, che con una semplicità acuta ci ha mostrato che la dote più importante di uno scienziato è proprio la curiosità. Più di una generazione è stata spinta da lui ad andare oltre le cose, ha ispirato tanti giovanissimi diventati poi scienziati».

Qual è stato il programma preferito?
«Credo che il suo impegno più importante sia stato il debunking, smascherare le fake news e mostrare la verità. Ci ha mostrato che esisteva una sacca di menzogna e andava a tutti i costi schiacciata, e ce ne siamo accorti poi con i no Vax e coloro che credono all'omeopatia e non alla medicina».

Lo ha conosciuto?
«Sì, circa sei-sette anni fa. Divenni socia onoraria del Cicap, di cui era presidente e fondatore, e non ho nascosto l'emozione di conoscerlo di persona. Gli raccontai con l'emozione in gola quanto fosse stato importante nella mia vita e soprattutto quanto gli fossi grata. Mi chiese del mio lavoro e l'attenzione per ciò che gli dicevo era stupefacente perché assorbiva come una spugna ogni nuova opportunità di sapere qualcosa di nuovo. Era già anziano e i suoi discorsi poi vertevano sempre verso lo stesso argomento: la morte. Anche a gennaio, quando l'ho sentito l'ultima volta al telefono, in cui voleva complimentarsi per il mio primo libro e pormi delle domande, alla fine l'argomento principale fu la morte».

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Perché la temeva?
«Nient'affatto, la morte non lo spaventava. La considerava una scocciatura di cui avrebbe volentieri fatto a meno perché voleva vivere per conoscere cose nuove. Mi disse: Ho vissuto una vita piena, non ho paura di morire, chi ha vissuto la morte l'accetta. Ma con pacatezza confessò che era curioso di assistere a nuove scoperte, quelle dell'universo in particolare. Fino alla fine è stato un esempio di razionalità mai arida ma sorridente, curiosa e solare. Un uomo speciale che nessuno di noi dimenticherà mai».

E oggi secondo lei chi potrebbe raccogliere la sua eredità?
«Programmi così densi, capaci di convolgere una generazione, non si fanno più, sono cambiati i modi di comunicare e divulgare la scienza e la televisione fa fatica a tenere i ragazzi incollati a un programma come invece Piero Angela faceva, senza sforzo. Durante la telefonata a gennaio, parlammo del significato e dell'importanza della divulgazione, è stato incredibile scambiare idee con lui, un momento magico. Oggi uno come lui non c'è, serve un divulgatore spontaneo, diretto e bisognerà trovarlo perché ne abbiamo bisogno».

Se potesse mandargli un messaggio, cosa gli direbbe?
«Non gli augurerei buon viaggio, andrebbe contro ciò in cui credeva. Vorrei ringraziarlo per tutto quello che ha fatto per me e per tantissime persone, che abbiano scelto la scienza o no, perché in ogni caso li ha avvicinati alla razionalità e a comprendere il valore della cultura scientifica».

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