Vittorio Feltri e il vino: «Quelle con cene con Montanelli e il fiasco di Chianti»

«Adoro Napoli, parlo benissimo il napoletano e le uniche canzoni che ascolto sono le vostre»

Vittorio Feltri
Vittorio Feltri
di Maria Chiara Aulisio e Gerardo Ausiello
Venerdì 3 Maggio 2024, 12:00 - Ultimo agg. 16:01
6 Minuti di Lettura

Un fiume in piena, un giornalista che ha il pregio di dire, e scrivere, con chiarezza le cose che pensa, anche se spiacevoli e sgradite. Se fosse un rosso, Vittorio Feltri sarebbe certamente un vino poderoso, travolgente e intenso come lo Sforsato, che in Valtellina chiamano Sfursat, un grande vino lombardo, regione dove il direttore ed editorialista è nato e cresciuto e a cui è fortemente legato. Una bottiglia capace di conquistarti per le sue peculiarità, come la complessità olfattiva frutto del processo di appassimento delle uve che fanno anche aumentare in modo significativo la gradazione alcolica. Per questo lo Sforsato - autorevole, elegante, impetuoso - si abbina a piatti elaborati con carni rosse e selvaggina ma anche formaggi stagionati.

Passiamo al bianco restando sempre al Nord e in particolare nel Friuli Venezia Giulia, dove incontriamo una bottiglia fortemente identitaria e polarizzante, come lo è Feltri: il Friulano, vitigno autoctono e bandiera di quella regione. In passato si chiamava Tocai ma oggi può essere definito solo Friulano dopo la battaglia (persa) con l’omonimo vitigno ungherese Tokaj. Il Friulano è tra i vini apprezzati da Feltri per la sua rotondità, frutto di un perfetto bilanciamento tra acidità e sapidità. Un bianco orgoglioso, la cui fama non è stata intaccata dal cambio di denominazione e che resta uno dei prodotti di largo consumo nel Nord-Est e non solo.

Infine un omaggio alla sorprendente passione rivelata dal giornalista bergamasco per Napoli, le sue canzoni e la sua bellezza: ci ricorda il Caprettone, vitigno che cresce e matura all’ombra del Vesuvio, sviluppando vigore e mineralità, un bianco schietto che nel bicchiere rivela tutto di sé senza camuffarsi.

Piaccia o no.

Video

«Il vino fa male a chi non lo beve». Vittorio Feltri non ha dubbi e quando gli racconti che per stile, gusto, origini e carattere, lo abbiamo abbinato a un ottimo bianco Friulano ti risponde così: «L’ho sempre chiamato Tocai e l’ho sempre apprezzato, fresco, asciutto, leggero, ma in fondo, va detto anche questo: i vini a me piacciono tutti».

Quelli buoni ovviamente. 
«E certo. Sulla qualità non si discute».

Che tipo di bevitore è? 
«Abituale e moderato direi».

Traduca in bicchieri. 
«Un paio a pranzo e un paio a cena. Non sono uno che esagera, in vita mia non mi sono mai ubriacato. Ho il senso della misura in tutto ciò che faccio, tranne nella scrittura». 

Preferenze e abbinamenti? 
«Mangio talmente poco che non ho la necessità di legare il cibo al vino, niente pesce e niente carne: non mi piacciono».

Dieta liquida quindi. 
«Il vino è più necessario del pane che infatti non mangio. Bevo un bicchiere di bianco come aperitivo e un po’ di rosso durante i pasti, di solito Pinot nero o dell’Alto Adige, son bravi loro».

Parlando di rosso se Vittorio Feltri fosse un vino secondo noi sarebbe uno Sforzato della Valtellina, identitario e polarizzante proprio come lei. 
«I vini lombardi li trovo ottimi, anzi vi do un consiglio, provate il Valcalepio, un po’ rustico come tutti noi bergamaschi ma molto gradevole».

Primo bicchiere? 
«Ho cominciato a bere a circa vent’anni, leva obbligatoria, mi distaccarono a Roma, al ministero della Difesa, fui pure promosso sergente, ricordo che non me ne fregava niente. Però lo stipendio era buono: 90mila lire al mese».

Di quello gliene fregava. 
«Molto. La sera con i colleghi andavamo nelle osterie romane a mangiare e a bere. Ho cominciato così e un po’ alla volta ci ho preso gusto. Non c’è giorno che non beva un po’ di vino e mia moglie mi fa buona compagnia». 

Dicono che una volta alla settimana andava a pranzo con Montanelli. 
«Appuntamento fisso, alla Tavernetta, c’era sempre un tavolo riservato per lui».

Chi sceglieva il vino? 
«C’era poco da scegliere: un fiasco di Chianti, Indro riempiva i bicchieri e poi lo nascondeva sotto il tavolo».

Il fiasco sotto il tavolo? 
«Un’antica abitudine contadina quando il vino era poco e prezioso. Per evitare che qualcuno potesse berne più degli altri la bottiglia veniva custodita sotto il tavolo. Montanelli era rimasto affezionato a quella tradizione che alla fine era diventata quasi un vezzo».

I vini campani le piacciono? 
«Putroppo non ricordo il nome ma recentemente me ne hanno regalato uno del Vesuvio di una bontà sfrenata. Una domanda ora voglio farla io: qualcuno ha mai pensato di produrre il vino di Maradona? Secondo me ne venderebbe ettolitri. Comunque adoro Napoli, parlo benissimo il napoletano e le uniche canzoni che ascolto sono le vostre».

Una su tutte. 
«Core, core, core mio, luntano vaje. Tu mme lasse, io conto ll’ore. Chisà quanno turnarraje...».

“Era de maggio”. 
«Una poesia. Come “I’ te vurria vasà”, la conosco a memoria».

Torniamo al vino. 
«Gaetano Afeltra ve lo ricordate?».

Il giornalista del Corriere della Sera. 
«Collega carissimo, era di Amalfi. Quando andai a dirigere l’Indipendente, giornale moribondo, lo invitai a cena per chiedergli dei consigli: “nun te preoccupà” mi disse “stai a sentì a me”. Era un genio, Gaetano, ho diretto undici giornali e gli ho sempre dato ascolto. E poi amava bere, in particolare i vini piemontesi. Le nostre lunghe chiacchierate erano sempre accompagnate da un buon bicchiere, diciamo anche due».

Secondo lei Giorgia Meloni che vino è? 
«Un “frizzantino”. Niente di eccezionale ma gradevole con la caratteristica che si digerisce facilmente».

E la Schlein? 
«Annacquato, e se è annacquato, non mi piace».

Matteo Salvini? 
«Direi un vino grossolano, lo associo al Manduria, non è cattivo ma preferisco non berlo».

Giuseppe Conte? 
«Un Valpolicella, ripasso però. Non mi è simpatico, d’altronde il ripasso non lo bevo quasi mai, ma il timone del suo gruppo lo tiene bene. In ogni caso a me della politica non me ne frega più niente».

L’ultimo bicchiere? 
«Berrei un Vannacci. Ogni tanto è bello sentir cazzate». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA