Maurizio de Giovanni e il vino: «Il Gambrinus e la Ribolla che mi ispirò Ricciardi»

«I puristi non saranno d'accordo ma preferisco il vino bianco, bianco e freddo»

Maurizio de Giovanni e il vino
Maurizio de Giovanni e il vino
Venerdì 19 Aprile 2024, 12:00
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La passione per Napoli, e tutto ciò che questa terra rappresenta - nel bene e nel male - e la capacità di raccontare storie avvincenti, sorprendenti, misteriose. L’identikit di Maurizio de Giovanni ci rimanda decisamente a un vitigno che con lo scrittore, sceneggiatore e drammaturgo, autore di romanzi e gialli di grande successo, ha in comune la complessità e l’imperscrutabilità: il Syrah, rosso intenso e avvolgente, accompagnato da un alone di mistero innanzitutto per le sue origini. A distanza di secoli, infatti, non è ancora chiara la genesi di questo nettare, che per alcuni esperti sarebbe nato a Siracusa, per altri in Francia, per altri ancora nella regione mediorientale e in particolare in Iran. Proprio questa sua essenza a tratti indecifrabile ne accresce il mistero, rendendo ogni bottiglia un’esperienza esaltante, anche per la capacità di questo vino di sprigionare profumi fruttati e speziati, che poi si replicano in bocca attraverso un forte sentore di pepe nero.

Pensando invece a un bianco, dal cosmopolitismo del Syrah si passa rapidamente all’orgoglio del territorio, alle radici, allo spirito identitario. Finiamo così in Cilento, luogo a cui de Giovanni è particolarmente legato, suo buen retiro e fonte di ispirazione di uno dei personaggi di maggiore successo plasmati dalla sua creatività: il commissario Ricciardi. «L’ho fatto nascere qui, nell’entroterra, perché volevo che avesse il carattere dei cilentani, che ascoltano molto, riflettono tanto e parlano quando devono» ha raccontato lo scrittore.

E allora il matrimonio è presto fatto: de Giovanni ha tutte le caratteristiche per essere un Fiano cilentano, giallo con riflessi dorati, morbido e persistente. Perfetto per aiutare il commissario Ricciardi a meditare e sciogliere enigmi all’apparenza indecifrabili.

 

«I puristi probabilmente non saranno d'accordo ma preferisco il vino bianco, bianco e freddo».

Niente rosso?
«Lo bevo, lo bevo soprattutto d'inverno ma il bianco è un'altra cosa».

Una regione in particolare?
«Senza dubbio il Trentino, il Traminer poi mi piace più degli altri. La mia è una preferenza in netta contrapposizione con lo stereotipo gastronomico che vuole il bianco col pesce e il rosso con la carne».

Perché?
«Perché non mangio pesce e sulla carne bevo volentieri anche il bianco».

Luigi Veronelli li chiamava «matrimoni d'amore». Diceva che un piatto e un vino per stare assieme devono trovare la loro armonia a prescindere dalle convenzioni.
«Ho sempre pensato che per scegliere gli abbinamenti la tecnica migliore sia quella di affidarsi più al gusto e meno ai canoni tradizionali».

Il Traminer, diceva.
«E la Ribolla gialla».

Dal Trentino al Friuli Venezia Giulia.
«Passando per il Caffè Gambrinus però».

Che c'entra il Gambrinus?
«Ve lo spiego. Quando nel 2005 partecipai al concorso per giallisti nello storico caffè di piazza Trieste e Trento uno degli sponsor era proprio Ribolla gialla. Ho cominciato a scrivere con un calice tra le mani e quel vino resta uno dei miei preferiti».

Il concorso che ha dato alla luce il fortunato commissario Ricciardi.
«E dire che ero convinto che neanche lo avrebbero letto il mio romanzo invece vinsi non solo quella selezione, ma anche la finale a Firenze».

Qual è il vino del commissario?
«In realtà scrivo romanzi di trama, mi soffermo poco sulla situazione ambientale e ancor meno sull'enogastronomia. In ogni caso Ricciardi lo descrivo spesso mentre beve anche perché negli anni '30 il pasto non poteva mai prescindere dal vino».

«Grande è la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia, un buon libro e un buon amico», Molière così diceva.
«Come dargli torto ma devo ammettere che nei miei libri non avendo particolare competenza in materia enologica non scendo mai troppo nei dettagli».

Il primo bicchiere lo ricorda?
«Il primo forse no, ricordo invece con tenerezza la passione che mia madre aveva per il vino: era amante del rosso, mi rimproverava affettuosamente quando le dicevo che preferivo il bianco. Tra l'altro il vino ho cominciato ad apprezzarlo tardi».

Prima che cosa beveva?
«Birra. Da ragazzo, quando uscivo con gli amici, quasi sempre si andava a mangiare una pizza, un panino e la birra era inevitabile».

Quindi sua madre era una cultrice del vino rosso.
«A casa nostra non mancava mai. E un po' alla volta mi sono appassionato pure io. Ora che mio figlio è uno dei soci del Flanagan's Rooms, in via Morghen, sto scoprendo etichette straordinarie e seguo volentieri i suoi consigli».

Qual è il momento migliore per aprire una bottiglia?
«Secondo me il vino deve rappresentare qualcosa di non consuetudinario, momenti belli, ricorrenze, occasioni da festeggiare».

Quindi bollicine?
«No, le bollicine non mi piacciono e neanche il rosè mi piace».

Vero, ha detto: bianco, freddo e trentino.
«Non è proprio così. Amo molto anche i vini di casa nostra. Recentemente ne ho bevuto uno formidabile».

Dove?
«A Ischia, al ristorante di Nino Di Costanzo, con il mio amico Roberto Barbieri. Grande cantina e serata piacevolissima».

D'altronde il vino è di per sé un piacere.
«Ragion per cui va bevuto con parsimonia altrimenti smette di essere tale. Per quanto mi riguarda non esagero mai».

Misterioso come il Syrah ma con l'orgoglio del territorio di un Fiano cilentano. La convince il nostro abbinamento?
«Assomigliano entrambi alla mia parte lavorativa, quella artistica: il mistero e il Cilento sono due aspetti fondamentali. Per il resto credo di essere più solare e molto meno misterioso. In ogni caso sono due vini che mi piacciono».

Ultima curiosità: per uno scrittore il vino potrebbe essere fonte di ispirazione?
«Come tutti i piaceri della vita, dal cibo alla musica al sesso, anche la condivisione di un calice di vino rappresenta un momento di intimità e quelle intime sono le occasioni più narrative». 

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