Napoli, soldi falsi. L'allarme della Bce: «Zecche illegali, è boom»

Napoli group, ecco l’ultimo allarme: «In città la fabbrica di 20 e 50 euro»

I soldi falsi
I soldi falsi
di Leandro Del Gaudio
Sabato 11 Maggio 2024, 23:45 - Ultimo agg. 12 Maggio, 17:45
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Un allarme della Bce, la massima istituzione finanziaria della comunità europea, su quello che sta accadendo a Napoli. Parliamo di monete false, zecche clandestine e soldi che invadono (e intossicano) il mercato globale. Dopo gli arresti scattati alcuni giorni fa in quel di Ponticelli - sette fermi firmati dal pm di Napoli nord - sì registra l’allarme che parte delle istituzioni europee. E che sta alla base del lavoro investigativo dei finanzieri del nucleo valutario e, su scala territoriale, i reparti operativi nel distretto. Monete false, dunque, c’è un sos legato alle attività del cosiddetto Napoli group, una definizione che sta per falsari seriali di origine napoletana. Pochi giorni fa, sette arresti dunque. Si tratta di decreti di fermo, che tengono tuttora in cella Alfredo Muioio, classe 1954, presunto organizzatore della zecca napoletana.

In cella sono finiti anche Alessandro Aprea, Ciro Di Mauro, Gennaro Molinaro, Emanuele, Umberto e Aldo Bifolchetto. Sono stati arrestati in via Cupa Tierzo, dove sono stati reperiti i macchinari utili per fabbricare monete false, avranno modo di dimostrare la propria estranei. Inchiesta condotta dalla Procura di Napoli nord, sotto il coordinamento della procuratrice Maria Antonietta Troncone e della procuratrice aggiunta Maria Di Mauro, decisive le intercettazioni telefoniche e ambientali.

C’è una traccia finita agli atti che hanno spinto gli inquirenti a fare un blitz e a fermare i presunti organizzatori della zecca clandestina: è il riferimento a «Padre Pio», il continuo riferimento al santo di Pietralcina. Un’espressione in codice, quella di «fare come Padre Pio», «organizzarsi come Padre Pio», che ha un solo significato, secondo la lettura investigativa: «Creare le condizioni di isolamento da mondo».

In che senso? Stando a quanto emerso nel corso delle indagini, la presunta banda di falsari era solita chiudersi dietro le saracinesche, per settimane intere. Senza avere contatti con il mondo. Una precauzione decisiva per evitare indagini, per non attirare l’attenzione sulle attività clandestine condotte all’interno della zecca. C’è un allarme che non può essere sottovalutato, a giudicare dalle prime conclusioni investigative: il rischio che la banda riuscisse ad immettere sul mercato stock di banconote false. Ragioniamo sui numeri, quelli diffusi dal comando provinciale di Napoli, sotto la guida del comandante Borrelli, alla luce delle attività svolte dal nucleo di polizia economica e finanziaria del colonnello Paolo Consiglio: sequestrate banconote per false per un valore nominale di 48 milioni di euro.

Fattura pregevole, lavoro sofisticato, performance di primo livello. È il Napoli Group, che in questo caso si avvaleva del lavoro di un ex tipografo, che in passato era alla guida di un esercizio che fabbricava carte da gioco.

Dalle intercettazioni captate è emerso un mondo, fatto di parole in codice (come il riferimento alla mistica di Padre Pio), ma anche di inevitabili riferimenti al “giallino” o al “marroncino” da inserire prima della stampa delle banconote.

Ma torniamo all’alert lanciato dalla Bce, anche alla luce degli atti che sono stati depositati in vista dell’udienza di convalida dei fermi: «Appare opportuno evidenziare l’importante ruolo svolto nel settore della contraffazione monetaria del cosiddetto Napoli group, appellativo attribuito al centro analisi della contraffazione della (Cac) della Bce ad un insieme di classi di contraffazioni, in considerazione del fatto che le relative stamperie clandestine sono state scoperte nella zona della provincia di Napoli». Un brand del falso, inventato a Napoli.

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