Gli sviluppi dell'inchiesta si fondano, tra l'altro, sulle rivelazioni di un collaboratore di giustizia, Antonio Della Corte, uno degli ex detenuti inserito nella coop. Il pentito ha spiegato che per documentare la presenza in servizio dei lavoratori venivano falsificate le firme sui registri (compito affidato a uno degli attuali indagati). Della Corte ha sottolineato che in passato il sistema della coop degli ex detenuti era gestito dal clan Giuliano di Forcella e che successivamente a lucrare sulle coop è stato il clan Contini.
Dagli atti dell'inchiesta è emerso che i lavoratori che nel frattempo venivano arrestati nuovamente o si assentavano dal lavoro per oltre 15 giorni non venivano sospesi dalla coop, contrariamente a quanto previsto dal regolamento.
In modo da venire regolarmente retribuiti. La coop avrebbe inoltre emesso false fatture per forniture di beni e servizi. Le somme stanziate dallo Stato - decine di milioni di euro - venivano erogate dall'amministrazione provinciale in base a una convenzione stipulata con la coop. Il pm sta cercando di ricostruire, come si sottolinea nel decreto, l'eventuale «filiera criminosa»: ovvero i rapporti da un lato tra la coop, i funzionari della Provincia e esponenti politici che «potrebbero essere stati sensibilizzati per lo stanziamento dei fondi pubblici» e dall'altro i rapporti tra la cooperativa, i fornitori e la camorra.