Polo calzaturiero cassaforte
del latitante catturato Zagaria

Carinaro
Carinaro
di Marilù Musto
Sabato 3 Dicembre 2016, 08:19 - Ultimo agg. 19:38
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CASERTA - In principio c’era la «Sogest srl» con sede a Roma, l’impresa incaricata di eseguire i lavori per la costruzione del Polo calzaturiero nella zona Asi tra Carinaro e Gricignano di Aversa. E in quel periodo, prima dell’arrivo del nuovo millennio, la camorra batteva cassa a suon di lire: un miliardo all’anno per «stare tranquilli» e nessuno si faceva male. Da un lato c’era l’impresa manifatturiera che voleva diventare «sistema», dall’altro il clan. Al centro, il complesso del polo che stava per sorgere nel 1997. In seguito, però, era sorto il consorzio di imprese. Precisamente, l’«Unica»: società consortile P. A. del polo calzaturiero. E il sogno del centro industriale che doveva trasformare in «gioiello» la tradizione dell’artigianato di pelli e scarpe dell’agro Aversano, era evaporato ancor prima di partire. Solo alla fine, il progetto è sfumato con la creazione di un maxideposito ancora attivo: un gioiello che ha perso la sua brillantezza iniziale pur restando un unicum in zona.

In effetti, il clan dei Casalesi dal 2000 in poi aveva cambiato pelle diventando meno violenta, ma senza mutare strategia. L camorra era riuscita ad avvicinare tutte le ditte, quelle sane e quelle no, che erano entrate a pieno titolo nel settore. In fila, una ad una, versavano una quota all’anno ai due boss latitanti Michele Zagaria di Casapesenna e Antonio Iovine da San Cipriano d’Aversa. La somma annuale era pari a 160.000 euro. E la storia è andata avanti almeno fino al 2010.

Stando alle indagini della Procura Antimafia di Napoli, pm Catello Maresca, a riscuotere le somme erano gli affiliati-cassieri Ernesto e Augusto De Luca di San Cipriano d’Aversa per Iovine; Bruno Lanza, oggi collaboratore di giustizia, Biagio Diana e Salvatore Verde detto «Tore a’bestia» per Zagaria. Gli imprenditori, «stritolati» dal sistema, non sono riusciti mai a denunciare i fatti, «schiacciati» com’erano da vertenze interne alle fabbriche, produzione che non decollava e il fisco, pressante. Sei anni dopo l’arresto del boss Iovine, si è scoperto tutto grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e alle primissime dichiarazioni di Luciano Licenza, l’imprenditore dell’inchiesta «Medea» che tre anni fa aveva iniziato a spiegare agli inquirenti il meccanismo del pizzo a scadenza annuale applicato da Zagaria e Iovine.


Gli indagati

Nella stessa indagine, eseguita dai carabinieri del comando provinciale di Caserta, risultano indagati anche due ex presidenti del consorzio di imprese del Polo, con un terzo imprenditore: si tratta di Raffaele Andreozzi, Carlo Benigno e Giuseppe Chianese, ritenuti però dal giudice Franco delle vittime del clan dei Casalesi.
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