«I parenti dei pentiti a spasso?
Li devono ammazzare»

«I parenti dei pentiti a spasso? Li devono ammazzare»
«I parenti dei pentiti a spasso? Li devono ammazzare»
di Marilù Musto
Venerdì 25 Ottobre 2019, 17:40 - Ultimo agg. 29 Ottobre, 15:54
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«Eccolo a questo c. e a quell’altra, questi due devono uscire ad Aversa e si devono pure andare a fare la camminata. Che li possano ammazzare!». Maledizioni e veleno: c’è tutto questo contro i familiari di Antonio Iovine o’ninno, l’ex killer dei Casalesi, ora passato dalla parte della giustizia. L’intercettazione è inserita agli atti della mega-inchiesta della Procura Antimafia che ha portato, martedì scorso, in carcere 14 persone, tre ai domiciliari. Capo del gruppo di camorristi è Giacomo Capoluongo, stando alla Procura Antimafia, vecchia conoscenza delle forze dell’ordine. L’intercettazione spunta mentre i carabinieri di Caserta monitorano l’auto in uso a Elisa Capoluongo, sorella di Giacomo, in auto con un amico.


L’INCONTRO
Ad Aversa, Elisa, incontra Rachele Iovine e Nicola Fontana, imparentati con il pentito. Ed ecco che Elisa «vomita» imprecazioni contro i familiari dei pentito. Ma nell’ordinanza c’è anche altro. Dallo spaccio di droga gestito da albanesi, alle estorsioni. Un business della nuova camorra organizzata che fruttava fino a 60mila euro al mese al clan. Le vittime erano agricoltori e piccoli negozi, ma anche titolari di rinomati negozi che hanno avuto la forza di alzare la testa, come il centro carni «Rosotta» di Trentola Ducenta oppure la pasticceria nota per la celebre polacca, «La fonte del dolce» ad Aversa. Dal cibo alle scommesse. E, quindi, al denaro. Il clan dei Casalesi investiva in sale giochi, spuntate come funghi a Lusciano e dintorni. C’era un’agenzia di scommesse a Trentola Ducenta, la Gold bet di via IV Novembre, intestata a Salvatore Marino. Per gli inquirenti Marino era solo un prestanome di Oreste Diana, figlio del boss Giuseppe, e di Ivanhoe Schiavone, il quinto figlio di Francesco «Sandokan», amante della bella vita. Assolto più volte dai giudici, Ivanhoe - dal nome celtico scelto proprio dal padre - dovrà difendersi dall’accusa di intestazione fittizia di beni. Indagato anche un poliziotto in servizio al commissariato di Giugliano che aveva solo dei contatti con alcuni indagati.

LA RINASCITA
Si pensava che la camorra fosse estinta a Trentola Ducenta come a San Marcellino, Aversa, Lusciano e Casal di Principe, ma l’inchiesta di ieri dimostra il contrario. Il clan chiedeva il «pizzo» in maniera semplice: un affiliato si era fatto aggiustare il bagno ma senza pagare gli operaio. Un altro faceva spesa in macelleria ma non pagava il contro.

LA MINACCIA
La pericolosità della camorra si manifesta in tutta la sua violenza in una intercettazione inserita agli atti. È il 2016 e Giacomo Capoluologo telefona da un cellulare intestato alla società agricola «Lama», parla con un contadino: «Mi devi dare i soldi, non voglio sapere nulla - minaccia - io non li posso fermare a quelli di Aversa, ti vogliono togliere da terra. Mi devi far sapere entro domani se mi vuoi pagare, altrimenti vengo lì e mi prendo tutte le serre». Le serre sono il vero tesoro dei contadini che lavorano per un anno intero per raccogliere i prodotti e rivenderli a prezzi bassi. La camorra tassa anche le briciole. Così, l’agricoltore che nell’intercettazione viene definito «Lelluccio» non può far altro che rispondere: «Hai ragione, vieni qui e dammi pure due schiaffi in faccia, ma io soldi non ne ho».
LA RAMIFICAZIONE
Giacomo Capoluongo è ritenuto l’attuale cassiere del clan, Salvatore Fioravante detto Porcellino, referente nella zona di Trentola Ducenta e San Marcellino nel settore delle estorsioni e lo spaccio di stupefacenti; Oreste Diana, figlio di Giuseppe, e Giuseppe Cantone, figlio di Raffaele «O’malapelle», si sono invece imposti nel «pizzo» e nel traffico di sostanze stupefacenti. Per la procura - pm Luigi Landolfi e Vincenzo Ranieri - uomo-chiave era anche Arcangelo D’Alessio di Trentola Ducenta, cognato del collaboratore di giustizia Salvatore Orabona. La Dda ha scoperto che aveva rapporti con Capoluongo. E poi, c’era Manuel Verde che gestiva le piazze di spaccio delle sostanze stupefacenti. Fra gli indagati c’è anche Romeo Pellegrino di Trentola
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