Napoli Nord, s'insedia Picardi:
«Rendere funzionale il tribunale»

Napoli Nord, s'insedia Picardi: «Rendere funzionale il tribunale»
di Mary Liguori
Martedì 4 Maggio 2021, 08:30 - Ultimo agg. 20:06
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«La giustizia è un servizio efficiente quando un imputato viene condannato o assolto in tempi rapidi. Il processo è esso stesso una pena, lo Stato fallisce quando non riesce a rispondere con celerità alle esigenze del territorio. Ma il tribunale, sebbene luogo d’osservazione privilegiato, non è una cattedrale nel deserto, nel nostro caso non deve essere una fortezza aragonese, bensì un luogo aperto al territorio». Il territorio in questione è il circondario giudiziario cosiddetto di «Napoli Nord», ma che ingloba due province, quella nord-partenopea e il Casertano, afflitte da problematiche criminali svariate e dotato dal 2013 di un tribunale perennemente in affanno sotto i profili del personale e degli spazi. Da ieri, alla presidenza del tribunale c’è Luigi Picardi, già a capo dell’ufficio giudiziario di Nola. Senza giri di parole, il nuovo presidente va dritto al cuore del problema. «Non resta che confrontarsi da un lato con le istituzioni politico-amministrative locali, dall’altro con quelle centrali per comprendere se realmente si vuole far funzionare questo tribunale o se esso rappresenta solo un picchetto dello Stato in un luogo diventato simbolo di una serie di criticità». Sono le prime parole di Picardi da capo del palazzo di giustizia più giovane d’Italia dove le carenze di spazi e di personale amministrativo hanno trascinato i carichi pendenti a cumuli già preoccupanti. 

Non si contano più gli appelli ai vari ministri che si sono succeduti a partire dal 2013, ma ad oggi la situazione resta drammatica. Come la affronterà?
«Sono problematiche importanti che richiedono interventi urgenti ed efficaci. Ma è importante che la richiesta venga anche dal territorio e dalla buona politica. Ed è proprio il coinvolgimento del territorio che cercherò, dalle strutture locali a quelle centrali, perché il tribunale non è la fortezza aragonese in cui ha sede, ma un luogo aperto e proiettato verso l’esterno. E solo con uno strumento funzionante si può affrontare un territorio come questo, che riunisce le zone periferiche del Napoletano e della provincia di Caserta, dove esiste un alto tasso di criminalità organizzata, non mancano i reati comuni, quelli di tipo economico e di aggressione all’ambiente. L’efficacia dell’intervento giudiziario è dipendente dai fattori personale-logistico. Potenziare il tribunale non significa solo far lavorare più serenamente giudici, cancellieri, procuratori: vuol dire dare un servizio alla collettività. Se la macchina funziona, ne giovano i cittadini». 

Nel gennaio scorso, i cancellieri hanno scritto a Bonafede: «Non ci possiamo ammalare», l’sos. Ma è sotto organico anche la polizia giudiziaria - come ha ripetutamente sottolineato il già procuratore Francesco Greco «Napoli Nord è l’unica procura d’Italia in cui l’organico di polizia giudiziaria non rispetta la legge» - mentre il presidente della Camera Penale, Paolo Trofino, ha più volte parlato del tribunale di Aversa come di un «aborto». E resta irrisolto il problema delle aule bunker, cruccio dell’ex presidente Elisabetta Garzo. Quali sono le conseguenze di una situazione del genere?
«È proprio questo il punto ed è questo che cercherò di spiegare nelle sedi opportune.

Carenze di questo tipo generano sfiducia nei cittadini onesti, senso di impunità nei disonesti. Ma non possono essere solo gli addetti ai lavori a battersi. Chi ha responsabilità politiche e amministrative non può non sentirsi coinvolto nel processo risolutivo. È necessario che sia chiaro che se un tribunale funziona non funziona per se stesso, ma per la collettività. È evidente che se ne devono far carico le forze di livello centrale che hanno il potere di intervenire. Chi si è assunto l’onore di far nascere questo tribunale, si assuma ora l’onere di farlo funzionare» 

Si è avuta spesso la sensazione che, travolti dall’onda mediatica delle inchieste sui Casalesi e sulla Terra dei Fuochi, si sia voluto creare un tribunale simbolo che però non è stato munito degli strumenti per fronteggiare, realmente, un territorio variegato e difficile. E i problemi non riguardano solo il settore penale, ma anche quello civile...
«Sì. Va potenziata l’intera filiera anche sotto l’aspetto del civile e dei giudici di pace, problema assai delicato perché riguarda una quantità abnorme di processi. Tutti i parametri vanno studiati e va riequilibrato a livello distrettuale il numero delle forze in campo, perché è dove si crea carenza per effetto dello squilibrio che lo Stato diventa attaccabile. La lungaggine dei processi finisce per alimentare l’humus della criminalità. Più che mai oggi, con gli effetti devastanti che la pandemia ha avuto sull’economia. Con tali premesse, mi chiedo, come ci si può stupire, per esempio, del caso degli stabilimenti balneari del Litorale domitio-giuglianese o delle criticità che affliggono realtà come il Parco Verde di Caivano, per citare solo alcune delle zone di competenza di Napoli Nord».  

Tra il 2006 e il 2012 lei ha presieduto la sezione penale del tribunale di Santa Maria Capua Vetere che ha seguito alcuni tra i principali processi alla criminalità organizzata casertana. Da Spartacus a Normandia, inchieste che hanno aperto il varco in cui lo Stato si è mosso per sradicare il clan dei Casalesi dal territorio in cui è nato e ha proliferato. All’epoca c’era un solo per l’intera provincia, eppure il «modello Caserta» funzionò. Oggi, con due tribunali si parla di carenze, non è un paradosso?
«Si discute tanto di riforme penali, della centralità della garanzia di tempi certi che riducano l’attesa anche per i non colpevoli, visto che il processo è già di per sé una pena. Il meccanismo di lotta ai Casalesi ha portato risultati tangibili proprio perché si è lavorato con questi criteri e con gli strumenti necessari a disposizione. Sono state inchieste di tipo prodromico. E abbiamo, a Napoli Nord, professionalità per fare altrettanto, magistrati che hanno conoscenza del territorio e competenze per raggiungere obiettivi importanti. Ma occorre un’assunzione di responsabilità collettiva e serve coerenza. La struttura giudiziaria va messa in condizioni di fare i processi, ciò diventa deterrente anche per i pm più “aggressivi” e per certa avvocatura. C’è esigenza di coordinamento e sinergia altrimenti tutto diventa farraginoso e la burocrazia prevale».

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