La trasparenza dell'uno, le modulazioni dell'altro. Lo spazio, la forma, la luce, e il rapporto fra loro di questi tre dimensioni dell'arte. Da qualche anno i due artisti Domenico Bianchi e Nunzio (Di Stefano, all'anagrafe, ma in arte preferisce usare solo il nome), formatisi a Roma con un maestro riconosciuto come Toti Scialoja, hanno proposto una serie di esposizioni a due, un dialogo vero e proprio tra le proprie creazioni: questo dialogo da stasera viene presentato a Casamadre, la galleria di Eduardo Cicelyn a Palazzo Partanna (vernissage alle 19,30) con i quadri di Bianchi, cinque, con le loro trasparenze, e le modulazioni scultoree di Nunzio, fatte di legni combusti e piombi.
«Giallo di Napoli nero pece blu cobalto» il titolo della mostra, che vede insieme Bianchi e Nunzio, due artisti con alle spalle una storia importante e una bella amicizia, che parte dai tempi della scuola di San Lorenzo, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, quando entrambi stabilirono il proprio studio nell'ex pastificio Cerere, a Roma, nel quartiere di San Lorenzo, appunto.
Gli fa eco Nunzio (1954, Cagnano Amitrano, in provincia di L'Aquila): «Ci conosciamo da una vita, Toti Scialoja è stato il nostro punto di riferimento ma ognuno ha fatto la sua strada, poi abbiamo cominciato a fare mostre insieme. Il dialogo tra le nostre opere? Ci relazioniamo per assonanza, proponiamo due visioni dello spazio, del rapporto tra questo e la forma, in relazione anche alla luce». Un artista, Nunzio, che ha basato la sua ricerca stilistica sul riutilizzo di materiali povero, il ferro arrugginito, il legno combusto, il piombo, il gesso: «Quando sono passato al legno, ho usato la combustione per eliminare tutta la piacevolezza del materiale, sfruttandone invece le qualità più oscure, come per tirarne fuori il simulacro... Per me ferro, piombo, bronzo o legno non sono che gli strumenti attraverso i quali mettere in rapporto forze contrarie per far nascere nuove possibilità di creare spazio. Nelle mie sculture la tridimensionalità e la spazialità sono suggerite e alluse più che compiute a tutto tondo. Molte mie sculture hanno dei buchi, delle aperture, propongono una sorta di visione che genera uno spostamento da uno spazio all'altro. In fondo, sono più donatelliano che michelangiolesco».