Alex Johnson e Una stanza tutta per sé: dove nascevano i capolavori

Il libro (con disegni di James Oses) conduce il lettore nei luoghi (molti dei quali ora trasformati in musei) che hanno visto nascere famosi capolavori

Virginia Woolf
Virginia Woolf
di Antonio Saccone
Lunedì 12 Giugno 2023, 08:00 - Ultimo agg. 13 Giugno, 08:57
4 Minuti di Lettura

Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé afferma: «Una donna deve disporre di denaro e di una stanza tutta sua se vuole scrivere narrativa». Alla riflessione dell'autrice londinese si ispira ora un'opera, originale e godibilissima di Alex Johnson, Una stanza tutta per sé. Dove scrivono i grandi scrittori. Il libro (con disegni di James Oses) conduce il lettore nei luoghi (molti dei quali ora trasformati in musei) che hanno visto nascere famosi capolavori. Si può, così, sbirciando non solo nelle stanze dove hanno lavorato grandi scrittori ma anche nei rituali della loro produzione, senza trascurare gli strumenti impiegati (penne, matite, macchine da scrivere, computer), penetrare nelle ragioni più segrete delle opere che hanno animato le loro esistenze.

Honoré Balzac si svegliava a mezzanotte, per affrontare otto ore di scrittura, poi breve pausa per il pranzo, altre cinque ore di lavoro, cena e a letto, ricorrendo di continuo al caffè, non meno necessario della carta. Nello studio all'ultimo piano della sua casa di Parigi compose i testi della Commedia umana, seduto su una sedia dai lunghi braccioli ricurvi, davanti a un tavolino di legno, che portava con sé ogni volta che si spostava. I suoi attrezzi di lavoro erano una penna di corvo e fogli di color azzurrino, utilizzati per non affaticare gli occhi. Twain e Dickens prediligevano sedie in vimini, a differenza di J.K. Rowling, che ha dato vita al suo Harry Potter accomodandosi su una tipica sedia in rovere degli anni Trenta. Le sorelle Brontë, che operavano «come una singola entità letteraria», cucivano, scrivevano e si confrontavano sul proprio lavoro, passeggiando intorno al tavolo in mogano usato dalla famiglia per pranzare. echov, appassionato orticoltore, era attento alla posizione della scrivania, da cui poteva guardare nel giardino, per lui fonte di ispirazione. Per Agatha Christie i momenti migliori per ideare una trama erano quelli che trascorreva immersa nella vasca da bagno. Quando era in viaggio, Charles Dickens portava sempre con sé una scrivania portatile in palissandro con intarsi in madreperla. Per Emily Dickinson e per Thomas Hardy il luogo ideale per comporre era la camera da letto, dove anche Hemingway si rinchiudeva, nella sua tenuta di Finca Vigía, a Cuba: in piedi, tra un cumulo di giornali e libri, tenendo la macchina da scrivere all'altezza del petto su una libreria addossata al muro.

Proust scriveva addirittura sul letto, con le ginocchia a far da scrivania. 

Non priva di suggestione è la descrizione dei due principali luoghi in cui Umberto Eco ha concepito i suoi romanzi e la sua imponente produzione saggistica: la casa di campagna a Monte Cerignone e lo studio milanese affacciato sul castello sforzesco, ricolmo di 30.000 volumi: dalla scrivania poteva soffermarsi a guardare i volti dei suoi amati pensatori, avendo posizionato negli scaffali i loro libri di piatto piuttosto che di taglio. Ian Fleming realizzò molte delle avventure di James Bond in un bungalow nella baia di Oracabessa, servendosi di una macchina da scrivere Imperial. Molti scrittori hanno sviluppato, prima dell'avvento del computer, un legame profondo con la macchina da scrivere. Nell'Ottocento fu Mark Twain il primo a inviare a un editore un testo dattiloscritto. Nel secolo scorso Henry James e Anthony Burgess venivano ispirati dal rumore secco dei tasti. Victor Hugo scrisse I miserabili in una grande dimora bianca a Saint Peter Port, nello «studio di cristallo», ispirato al Crystal Palace di Londra, su una scrivania verticale vicina alla finestra. Stephen King, seguendo un protocollo ben preciso, punta a scrivere 2.000 parole al giorno. Un tempo usava macchine da scrivere Olivetti e Underwood; oggi adopera un laptop, ma gli capita ogni tanto di ricorrere a carta e penna, preferendo comunque lavorare sempre su una piccola scrivania. Anche Rudyard Kipling teneva molto ai suoi arnesi di lavoro: odiando la macchina da scrivere, amava l'inchiostro, nero come la pece. D.H. Lawrence scrisse la sua opera più famosa, L'amante di Lady Chatterley sotto un grande pino in un bosco vicino alla sua villa di Scandicci.

Il libro continua illustrando le consuetudini di de Montaigne, Orwell, la Plath, Shaw, Wodehouse, la Stein... Ma, annota Samuel Johnson (il suo luogo prescelto era un abbaino): «Che una soffitta renda ogni uomo un genio, sono ben lungi dal pensarlo; conosco certi idioti che resterebbero tali in cima alle Ande o sul più alto picco di Tenerife». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA