Nomadi, rimaste sempre nello stesso posto per secoli, abbandonate, restaurate, scomparse, famose o sconosciute anche ai napoletani, di autore famoso o anonimo, di soggetto umano o animale o mitico, di stile classico o barocco. Sono le trenta monumentali Fontane di Napoli (Guida, pagine 222, euro 24) raccontate in ogni dettaglio storico, architettonico e artistico dalla storica dell'arte Filomena Sardella con le fotografie a colori di Giovanni Genova.
Risalgono dal Medioevo all'Ottocento e sono ubicate da piazza Mercato a Mergellina, da Posillipo a Monteoliveto, da castel Capuano al Molosiglio.
Per una fontana celebre e leggendaria, ce n'è un'altra altrettanto antica ma edificata in un posto che la mortifica. È quella della maruzza a Portosalvo in via Alcide De Gasperi. L'autore è ignoto, le cronache antiche riportano che sia stata costruita da «umile artista non al soldo di viceré vanitosi che volle solo ritrarre la modesta lumaca». Ha subito diversi danneggiamenti nel corso del tempo, intatto è rimasto solo il guscio. Fu edificata, suggerisce l'autrice, perché i marinai «si approvvigionavano d'acqua prima dei lunghi viaggi per mare per essere a autosufficienti».
La vita più avventurosa l'ha avuta la grande (trenta metri) fontana circolare del Serino. Inaugurata nel 1885 al centro di largo di Castello, oggi piazza del Plebiscito, per festeggiare la fine dei lavori del nuovo acquedotto che portava finalmente l'acqua in aree urbane fino ad allora prive di approvvigionamento idrico, ebbe vita breve. Scomparsa ai primi del Novecento perché impediva lo svolgimento lineare delle parate militari, o forse per i progetti della metropolitana che si stavano allora immaginando, tornò al suo posto un secolo dopo, nel 1985, in occasione dei festeggiamenti per il compleanno dell'Aman, l'attuale Arin, per essere smantellata pochi mesi più tardi e chissà che fine ha fatto.
La prima fontana monumentale della villa reale, oggi villa comunale, fu quella del Toro farnese inaugurata nel 1791 e subito ribattezzata dai napoletani la «Montagna di marmo» per le grandi dimensioni e il podio alto che la sorreggeva. Rimase al suo posto per trentacinque anni, poi per preservarla dalla salsedine e dalle intemperie fu collocata nel museo Archeologico nazionale. Al suo posto, ancora oggi, la «Tazza di porfido», conosciuta come fontana delle Paperelle.
La fontana più rovinata e saccheggiata è stata quella di Nettuno, detta di Medina, oggi in piazza Municipio. Risale al Cinquecento e fu realizzata da Michelangelo Naccherino, Angelo Landi, Cosimo Fanzago, Pietro Bernini. Danneggiata durante la rivolta di Masaniello, fu oggetto di sottrazioni di alcune sculture e parti decorative ad opera di Don Pedro Antonio Ramon Folch de Cardona, viceré dal 1666 al 1671, «che secondo alcune fonti, nell'ultimo anno del suo governo fece trasferire in Spagna, insieme a quattro sculture della cosiddetta fontana dei Quattro del molo e la scultura di una Venere della fontana a largo di Castello».