Salerno Letteratura apre con Geoff Dyer: «Da Federer a Beethoven, se il meglio arriva alla fine»

In viaggio nell'antica Poseidonia insieme alla moglie Rebecca Wilson, curatrice d'arte ed editrice

Geoff Dyer
Geoff Dyer
di Erminia Pellecchia
Sabato 17 Giugno 2023, 10:05
5 Minuti di Lettura

«Sono stato a Napoli molte volte e la amo. Adoro i siti archeologici greci e romani. Ho scritto di Leptis Magna, in Libia, nel mio libro Yoga for people who can't be bothered to do it. É il sito più bello dove sia mai stato. Non vedo l'ora di andare a Paestum. Parte del fascino sta nel fatto che questi luoghi sono all'aperto. L'interno delle cattedrali, per quanto favoloso, mi genera sempre un certo disappunto. Ho quasi una reazione allergica di fronte a tutte le decorazioni e a tutti quei dipinti della Crocifissione, chiunque ne sia l'autore». Geoff Dyer, classe 1958, tra i migliori scrittori inglesi della sua generazione, tradotto in 24 lingue e capace di spaziare, con la stessa maestria, tra narrativa e saggistica da «curioso delle cose più disparate», è felice della sua prima volta a «Salerno letteratura», perché potrà finalmente visitare, insieme alla moglie Rebecca Wilson, curatrice d'arte ed editrice, l'antica Poseidonia, «da soli, senza guida». Raggiungendola in treno, come turisti qualsiasi.

L'autore di L'infinito istante, appassionato e appassionante saggio-racconto sulla fotografia, è tra gli ospiti di punta dell'undicesima edizione, dedicata agli ottantant'anni di Starnone (sua la prolusione), del festival ideato da Ines Mainieri e Francesco Durante e diretto artisticamente, dopo la morte di quest'ultimo, da Gennaro Carillo e Paolo Di Paolo. Sarà una giornata inaugurale densa di appuntamenti quella di oggi. Con un alternarsi di incontri, a partire dalle 10, in un continuum da Chiara Gamberale a Ayet Gundar Goshen, dal presidente di Telecom Salvatore Rossi a Emilio Isgrò.

Dyer sarà alle 20 in dialogo con Carillo nell'atrio del duomo per presentare il recente Gli ultimi giorni di Roger Federer e altri finali illustri (ilSaggiatore, pagine 330, euro 25): «Non è un libro su Roger Federer né sul tennis, ma un libro sulla fine delle cose, sui giorni che precedono il ritiro dalla scena, sia esso un campo di terra rossa, un palcoscenico, uno studio di registrazione o un ring», spiega l'autore. Il tennista, vincitore di venti Grandi Slam è solo il pretesto per parlare d'altro, «un modo per riflettere su se stesso e su di noi». Il lockdown ha contato molto: «Con il Covid», dice Dyer, «la vita come la conoscevamo è finita per un po' di tempo, ma poi, come spesso accade, questa fine è stata seguita dal ritorno alla normalità. In quel momento, forse, la pandemia ha ampliato il mio modo di sentire le cose». Nelle pagine scorrono gli ultimi traguardi nella carriera di scrittori, atleti, pittori, musicisti dai Doors a Dylan, da Turner a Nietzsche, suo nume tutelare - che, in qualche modo hanno attraversato la sua vita, una passione per la «finitudine», nata ai tempi di Oxford e di un dottorato di ricerca che, nel volume, liquida come semplice ambizione di prendere una borsa di studio: «Ai tempi dell'università non avevo alcun interesse né per le cose ultime, né per il dottorato. L'intero passaggio del libro è in realtà solo una serie di battute. Ma quando ero molto giovane, il prematuro ritiro dal calcio di George Best fu fonte di sgomento. Non penso che tutto derivi da Nietzsche, benché sia il personaggio più importante del libro. Penso che derivi dal giro di boa dei sessant'anni».

La fine della carriera, o la lunga fase che la precede, può presentarsi nelle forme più disparate. Può coincidere con un declino, ma può anche essere il vertice qualitativo nelle opere di un artista. Beethoven, conferma Dyer, «è l'esempio perfetto di come i lavori migliori si realizzino alla fine di una carriera. È piuttosto raro. Il punto fondamentale è che mentre nel caso di Beethoven le sue ultime opere sono anche quelle che ha fatto in epoca tardiva, è possibile citare molti esempi di persone i cui ultimi lavori non sono arrivati nella fase finale della carriera, ma in quella che è piuttosto la fase di mezzo: Coltrane e Garry Winogrand, per esempio, sono entrambi morti a quarant'anni. Le loro ultime opere sono chiaramente di transizione. E ci sono scrittori i cui ultimi lavori sono apparsi nella prima fase della carriera, a volte addirittura dopo un solo libro. Il punto è che il mio è un libro sulle cose ultime, e non su quelle tardive, stile che è attualmente diventato quasi un cliché nella scrittura accademica, ma d'altronde quasi tutto nella scrittura accademica è un clichè». E tra i musicisti capaci di arrivare meglio alla fine, l'autore di Natura morta con custodia di sax, cita Art Pepper, «il musicista jazz che risponde meglio a questa descrizione. La sua vita devastata e disastrata prigione, abuso di droghe e così via lo ha condotto in un luogo dove è stato capace di esprimere qualcosa di molto più profondo che se non avesse avuto un percorso di questo tipo. Così ha tratto il massimo dalla sua vita». Una vita spericolata, certo. Ma che suona ancora, eccome. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA