Lo studio italiano ha cercato di fare chiarezza sull'argomento attraverso una sperimentazione, condotta da Gino Roberto Corazza e Antonio Di Sabatino della Clinica Medica del Policlinico San Matteo dell'Università di Pavia.
«Negli ultimi anni si è diffusa l'idea che il glutine possa essere responsabile di un disturbo non caratterizzato da lesioni intestinali, tipiche della celiachia vera e propria, ma solo da sintomi come dolore e gonfiore addominale, mente offuscata, depressione - spiega Corazza, responsabile dell'indagine e presidente della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI) - La sensibilità al glutine non celiaca, stando ad alcuni, sarebbe ben più diffusa della celiachia: le stime sono arrivate a indicare che il 15-25% della popolazione preferisca una dieta senza glutine».
I medici hanno coinvolto 59 pazienti non celiaci e non allergici al glutine con sintomi intestinali e/o extraintestinali dopo il consumo di cibi contenenti piccole quantità di glutine, come quelle presenti in un tramezzino. «I sintomi sono mediamente peggiorati con l'ingestione di glutine, ma solo una piccola quota di casi, pari al 5%, è risultata davvero sensibile al glutine. La maggior parte infatti è vittima del cosiddetto effetto nocebo, ovvero ha avuto un peggioramento dei disturbi semplicemente per il timore di aver assunto glutine», spiega Corazza. In attesa di ulteriori conferme i medici sottolineano che i pazienti non devono auto-diagnosticarsi la sensibilità al glutine ma affidarsi a centri esperti, che possano procedere con una diagnosi seria e controllata.
«L'esclusione del glutine dalla dieta in maniera autonoma e svincolata da una reale diagnosi, infatti, è da scoraggiare perché, oltre a costringere a un'alimentazione molto costosa preclude la possibilità di una successiva diagnosi di vera celiachia in chi lamenta disturbi dopo aver mangiato il glutine
Ma su questa fobia è nato un business senza precedenti che sembra destinato a rafforzarsi ulteriormente.