Da Napoli in Danimarca: lavoro, amore e opportunità

Le storie di Giusy, Amalia e Nunzia alla scoperta della vita ad Aarhus

Da sinistra a destra: Amalia, Ivan, Giusy, Oreste e Nunzia
Da sinistra a destra: Amalia, Ivan, Giusy, Oreste e Nunzia
di Aurora Alliegro
Martedì 30 Aprile 2024, 11:57 - Ultimo agg. 1 Maggio, 08:53
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Aarhus e Napoli non potrebbero essere più diverse. Fredda, piovosa e estremamente ordinata l’una, calda, torrida d’estate e intrinsecamente caotica l’altra. Città che racchiudono storie, destini e possibilità di vita divergenti, apparentemente inconciliabili. Eppure, nonostante la distanza – geografica, climatica e culturale – che scinde i due centri, sono centinaia i napoletani allontanatisi dai confini italiani per dirigersi in Danimarca (AIRE).

Aarhus, seconda città danese per popolazione, è conosciuta all’estero soprattutto per essersi aggiudicata il titolo di “città più felice al mondo”, riconosciutogli nel 2024 dall’Istituto britannico per la qualità della vita. 

Affacciata sullo stretto di Kattegat, Aarhus è una città di 336,411 abitanti situata nella penisola danese dello Jutland. La caratterizzano strutture moderne e accessibili ai cittadini, infrastrutture green e servizi della cura della persona a sostegno di tutte le fasce d’età. L’inclusione sociale, gli investimenti nello sviluppo sostenibile e lo slancio verso innovazione e digitalizzazione sono certamente gli elementi più caratteristici di una città adattatasi ai bisogni della propria popolazione come poche altre. Non stupisce, infatti, che Aarhus faccia parte del Nordic Smart City Network, una rete di 20 città scandinave unite nello scopo comune di “esplorare un percorso tutto nordico per creare città vivibili e sostenibili”.

Cos’è che attrae, dunque, i napoletani in Danimarca? Sarà proprio la diversità della città di Aarhus e dell’intera nazione? O forse le maggiori opportunità di lavoro e retribuzione? E cos’è che invece manca loro in un contesto così diverso da quella che un tempo chiamavano “casa”?

Toccheremo queste e altre questioni attraverso le storie di Nunzia, Amalia e Giusy, tre donne originarie di Napoli (e dintorni) trasferitesi a Napoli in circostanze e tempi diversi. «Napoli è casa mia, mi manca. E forse manca ancora di più quando non ci vivi, senza intossicarti», dice Giusy, originaria di Vietri sul Mare ma napoletana per adozione. «Noi siamo tre, io, mio marito Oreste e mio figlio Ivan». La famiglia Vivo si è trasferita a Randers – cittadina danese a 40 km da Aarhus – quasi undici anni fa.

Giusy è danese per via materna, e difatti non ha dovuto far fronte a barriere linguistiche all’arrivo a Randers.

Anche questo le ha permesso di trovare lavoro come segretaria in un centro di fisioterapia e riabilitazione. Suo marito e suo figlio, invece, hanno avuto qualche difficoltà iniziale sul fronte linguistico. «All’inizio eravamo soli, senza grandi aiuti», ammette Giusy, «ma abbiamo trovato lavoro abbastanza facilmente, io avevo 40 anni e mio marito 50».

Ivan, che al loro arrivo aveva solo 11 anni, ha imparato velocemente il danese a scuola, si è integrato con facilità e adesso, a quasi 22 anni di età, studia e lavora, finanziando autonomamente i propri studi. In Danimarca, infatti, ogni cittadino danese maggiorenne iscritto all’università ha diritto a un sussidio statale erogato mensilmente indipendentemente dal reddito. Si tratta di più 6.000 corone (800 euro). Un sistema che promuove efficacemente l’indipendenza giovanile, la mobilità sociale e l’accesso universale all’istruzione.

Interrogata sulla sua vita ad Aarhus, Giusy si sofferma soprattutto sulla cultura del lavoro, la retribuzione, e la tutela dei lavoratori, elementi che apprezza particolarmente. «Qui si rispettano gli orari di lavoro e il tempo libero dell’individuo», dice, «gli stipendi sono più alti e si possono sempre alzare in base al merito». E ancora, «i sindacati funzionano, ci sono più tutele», aggiunge. Pur ammettendo le manchi Napoli – con la spontaneità dei suoi incontri e il tempo trascorso nelle strade e nelle piazze – potesse tornare indietro, rifarebbe tutto quanto.  

Amalia, 26 anni, è una dei 250 italiani che studiano in Danimarca (Eurostat). Dopo un breve periodo Erasmus trascorso ad Aarhus durante gli studi in Scienze Biologiche alla Federico II, ha deciso che avrebbe fatto del suo meglio per tornare in Danimarca. «Dai tempi dell’Erasmus, la Danimarca è diventata per me la terra promessa», dice. E così è stato. Amalia oggi studia Food Science ad Aarhus. «L’Italia non ti mette nelle condizioni di andare a vivere da solo», spiega «e questo pesa molto sul benessere psicologico dei ragazzi». Originaria di Villaricca, ci racconta la sua vita con un misto di soddisfazione per quanto sinora realizzato e di incertezza per il futuro.  

Amalia, come numerosi degli studenti internazionali a Aarhus, svolge un lavoro part-time in un ristorante greco nel centro di Aarhus. Questo le permette, in quanto cittadina europea, di beneficiare del medesimo sussidio statale a cui hanno diritto gli studenti danesi, con la differenza, tuttavia, che gli europei possono accedervi soltanto se, oltre agli studi, portano avanti anche un lavoro part-time. Sebbene generalmente soddisfatta della sua vita, Amalia ammette le difficoltà della vita da expat, concludendo che «nessun posto è perfetto».

Con il tempo, dice, ha imparato a osservare le due facce della medaglia. L’indipendenza economica, da un lato, e la grande competizione per l’accesso al mondo del lavoro specializzato, che spesso avvantaggia coloro che padroneggiano la lingua locale. Il rispetto delle regole, l’onestà e la correttezza, unite a una strana distanza frapposta fra sé stessi e gli stranieri, una sensazione spiacevole che contribuisce a sentirsi “stranieri in terra straniera». Nonostante gli ostacoli a cui Amalia deve far fronte, dichiara di sentirsi sicura, molto rispettata e generalmente serena. «Qui nessuno ti vuole fottere», dice molto spontaneamente, «non c’è da aspettarsi il peggio dagli altri».

Dell’Italia le mancano soprattutto gli affetti, le abitudini e il senso di appartenenza. «Quando sono tornata a casa l’ultima volta, mi sono messa a piangere», dice Amalia con nostalgia. Eppure, neanche lei ritornerebbe in Italia. Il suo futuro, adesso, è a Aarhus. La storia che intreccia il destino di Nunzia – originaria di Pozzuoli – a quello di suo marito  – danese – sembra tratta dalla più romantica delle pellicole cinematografiche. Lei passeggia per le strade del centro di Napoli. Lui si trova in visita nella città partenopea e casualmente – in uno schema che si ripete una, nessuna, centomila volte al giorno in centinaia di migliaia di città al mondo – ferma una passante dalle sembianze autoctone per chiedere indicazioni.

È così che inizia una storia d’amore che trascinerà Nunzia verso percorsi di vita del tutto inesplorati. A pochi anni da quell’incontro, infatti, i due si ritroveranno a vivere insieme in Danimarca. A spingerla al trasferimento in Nord Europa contribuisce anche una questione di opportunità professionali. Dopo la laurea in Lettere moderne presso la Federico II, Nunzia crede che la attenda un futuro di precarietà e insoddisfazione. «Tutte le mie amiche si sono trasferite al Nord per insegnare per poi spostarsi ogni anno come pedine».

Oggi Nunzia ha 34 anni ed è tecnico di laboratorio presso l’Ospedale di Aarhus, dove, in cambio del suo lavoro a tempo pieno, la struttura le offre una formazione professionale completa. Nel frattempo, Nunzia ha anche avuto un figlio. I servizi statali di sostegno alla maternità hanno agevolato il suo percorso lavorativo, alleggerendo il carico per l’intero nucleo familiare. «Qui la famiglia è il centro di tutto», spiega, «e da lì si costruisce tutto il resto: gli orari di lavoro, le strutture, i servizi, l’uguaglianza tra le figure genitoriali, e così via». Vorrebbe poter essere più presente per i propri cari in Italia, certo. Ma adesso Nunzia si sente felice, soddisfatta e realizzata ad Aarhus. «Da quell’incontro non mi aspettavo tutto questo», conclude.

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