La morte di Davide. No all’odio che fa il gioco della camorra

La morte di Davide. No all’odio che fa il gioco della camorra
di Vittorio Del Tufo
Domenica 7 Settembre 2014, 22:19 - Ultimo agg. 22:20
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Il ritratto del disfacimento di Napoli non è solo il corpo senza vita di Davide Bifolco, colpito dalla pistola di un carabiniere e riverso a terra in una pozza di sangue: un’orribile pagina di cronaca sulla quale bisognerà fare al più presto chiarezza senza sconti e senza guardare in faccia a nessuno.



È anche - è soprattutto - il volto dell’anziana zia del diciassettenne ucciso, convinta di essere nel vero, nel giusto, quando annuncia il suo teorema: «La verità è che la camorra ci protegge, e lo Stato ci ammazza i figli». Nulla di più falso, come sanno bene gli stessi abitanti del Rione Traiano, che nel ’91 piansero la morte di un altro ragazzino, Fabio De Pandi, ucciso per sbaglio durante un regolamento di conti tra due clan di camorra. Il ritratto del disfacimento di Napoli è in queste bestemmie che diventano luogo comune, in questo rigurgito di tossine, di velenosi effluvi, che rischiano di fare del Rione Traiano l'avamposto di un’altra inutile battaglia contro lo Stato, le sue regole, le sue sentinelle.



Eccolo il frutto avvelenato di una notte di follia, tra scooter che viaggiano nel buio senza fermarsi all’alt, con tre ragazzini a bordo tra cui un ricercato (secondo la versione dei carabinieri) e militari pistoleri, forse dal grilletto facile (saranno le indagini ad accertarlo): che si regali un alibi ai giustificazionisti dell’antistato, che si dia il destro a quanti oggi inneggiano alla camorra, elevandola quasi a baluardo e ponendola idealmente, e non solo idealmente, alla testa di una rivolta popolare che lascerà sul terreno, come è ovvio, solo macerie e sconfitti. È accaduto lo stesso con le rivolte per l’acqua nera, per la monnezza, per il lavoro. È su queste tossine liberate nell’aria che la camorra - che era e resterà una metastasi - rischia di prosperare ancora, mentre le risposte dello Stato restano deboli, incerte, lacunose. E non solo al Rione Traiano.



Già, il Rione Traiano. Lo hanno scoperto in tanti, dopo la morte di Davide. Prima era solo uno sputo sulla piantina della città, oggi è una botola di luoghi comuni. La tragica morte del diciassettenne lo ha proiettato, in un solo giorno, all’attenzione dell’intero Paese come l’emblema e il simbolo di un fallimento: il fallimento di uno Stato che non c’è e se c’è non si vede. O lo si vede in una luce cattiva. Bisognerà pur chiedersi, allora, perché in seicento scendano in piazza contro le istituzioni e molti altri ancora, molti di più, guardino alle istituzioni, in queste ore, con diffidenza e sospetto.



La risposta è semplice, nella sua brutalità: perché al Rione Traiano, più che altrove, lo Stato ha fallito nei suoi due compiti essenziali, reprimere gli illeciti e favorire le politiche di inclusione sociale. A quali strumenti investigativi lo Stato sta affidando la sua battaglia per contrastare una criminalità sempre meno piramidale e sempre più liquida e invasiva, imbevuta di stracci e di disperazione sociale, di ragazzi border line, anche incensurati, che si rivolgono ai clan come unica agenzia di collocamento presente sul territorio e finiscono quasi senza volerlo per essere prima assorbiti e poi assoldati dalla criminalità organizzata?



A questa nuova camorra, che cresce, prospera e dilaga sulle macerie del welfare, continuiamo a guardare utilizzando strumenti investigativi del passato, con il risultato che l’unica strategia di contrasto è affidata a poche volanti che corrono nel buio della notte dando la caccia ai malintenzionati di turno: può bastare, di fronte a una criminalità sempre piu polverizzata sul territorio e che si nutre di disperazione e di bisogno sociale? Noi crediamo di no. Per una metastasi di questo tipo non bastano più le aspirine ma servono farmaci ben più radicali. E ancora: cosa sta facendo lo Stato, dal Rione Traiano a Scampia, da San Giovanni a Forcella, per favorire il recupero e il ritorno tra i banchi dei ragazzi in età scolare?



A chi gli chiedeva se vi fossero, nel quartiere dove è morto Davide Bifolco, progetti di recupero e di inclusione sociale, il parroco della chiesa di Via Marco Aurelio, padre Lorenzo Manca, rispondeva ieri allargando le braccia: «Da parte delle istituzioni politiche, nessuno». Al Rione Traiano il 70 per cento della popolazione è disoccupata, il tasso di analfabetismo è altissimo, centinaia di famiglie vivono negli scantinati e non v’è traccia di occasioni intellettuali, culturali, di crescita civile: di fronte al progressivo deterioramento dei rapporti umani e sociali lo Stato continua ad arretrare e a perdere posizioni. È sulla scena di questo disastro che le forze dell’ordine conducono ogni giorno, in solitudine, senza clamori, la loro battaglia.



Unico intralcio agli affari tossici della camorra, all’attività quotidiana dei vecchi e dei nuovi boss: lo smercio di droghe, la principale fonte di sostentamento - piaccia o non piaccia - di numerosissime famiglie del quartiere. Un esercito di disperati che continua a riversarsi ogni giorno nelle fila dei clan. Essere dalla parte delle istituzioni - sempre, ma soprattutto oggi che il povero Davide sorride solo dalla foto del suo profilo Facebok - significa dunque prima di tutto una cosa: pretendere che lo Stato, nelle sue diverse articolazioni, si svegli; e pretendere dallo Stato risposte forti, concrete, immediate. Che non possono essere lasciate solo a un carabiniere maldestro che spara nel buio o a una Volante che corre di notte nella città senza regole.