Francesco Pio Maimone ucciso a Napoli, il killer inchiodato dai testimoni: «Fu Valda a sparare»

Oltre tre ore di interrogatorio, dai racconti dei testimoni arriva la conferma: «In quel litigio lui non c'entrava»

Il luogo dell'agguato
Il luogo dell'agguato
di Melina Chiapparino
Martedì 14 Maggio 2024, 23:40 - Ultimo agg. 15 Maggio, 21:00
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Un drink sulle scarpe griffate. È stato questo l’affronto che ha scatenato la vendetta a colpi d’arma da fuoco costata la vita a Francesco Pio Maimone, vittima innocente della criminalità. Dietro l’omicidio del 18enne di Pianura, colpito da una pallottola vagante sul lungomare di Mergellina, la notte del 20 marzo 2023, c’è stata una lite banale nata da un pestone e qualche goccia di bibita versata sulle scarpe nuove e costose del principale imputato, il 20enne Francesco Pio Valda attualmente detenuto nel carcere di Terni. Una lite a cui il giovane ucciso era completamente estraneo e sulla quale era caduto un velo d’omertà durante l’ultima udienza del processo, lo scorso 8 maggio, quando i testi non si erano presentati in aula. Ieri mattina, invece, dopo la disposizione del giudice per l’accompagnamento coatto dei quattro testimoni disertori davanti la Corte d’Assise di Napoli, è stata ricostruita e confermata la genesi della lite. L’udienza durata più di tre ore è stata scandita dalle contestazioni e dalle domande puntuali dei pm della Procura di Napoli - Antonella Fratello, Claudio Onorati e Rosa Volpe - che sono riusciti a ottenere tasselli preziosi per l’inchiesta e una testimonianza chiave di uno dei ragazzi che ha dichiarato di aver avuto «la pistola puntata addosso a una distanza di 7-8 metri». 

Le testimonianze

Dai racconti dei quattro giovani del Rione Traiano, ieri accompagnati dai carabinieri, è emerso chiaramente che il litigio tra il loro gruppo e l’altra comitiva di ragazzi originari di Barra è scoppiato da un’iniziale discussione tra Francesco Pio Valda e uno dei giovani del Rione Traiano. «Ho visto il mio amico che si agitava e mi sono intromesso».

Con queste parole, il primo teste ha raccontato di aver partecipato alla discussione «senza saperne inizialmente il motivo, in seguito ad una telefonata del suo amico del Rione Traiano» che chiedeva rinforzi sul lungomare, dove già era scoppiata la miccia con la comitiva di Barra. «I miei amici hanno inseguito il ragazzo con cui era nata la discussione, poi si sono fermati dopo aver sentito i primi colpi di pistola, ne ho visti sparare due in aria» ha continuato il teste che, incalzato dalle domande della pm, ha precisato: «I primi colpi li ho solo sentiti, lui era in strada tra lo chalet Agostino e Sasà quando l’ho visto sparare in aria». Subito dopo, il giovane teste ha raccontato di «aver provato a fare la respirazione bocca a bocca a Francesco Pio Maimone, caricato poi su un’auto per portarlo in ospedale». 

La pistola 

Il racconto dei testimoni, costellato da reticenze letteralmente “smontate” dalle contestazioni della pm e dalle osservazioni della giudice, ha messo a fuoco la presenza di un’unica pistola, di un unico ragazzo che impugnava l’arma e di almeno tre o quattro colpi esplosi. «Al momento dei colpi non ho capito più nulla in quanto mi sono spaventato» ha spiegato un altro teste «mi ricordo - ha aggiunto - solo che la pistola era piccola e nera, mentre lo apostrofavo con parolacce per quello che stava facendo lui mi ha puntato l’arma in faccia a circa 7-8 metri di distanza, poi è scappato dicendo a qualcuno di prendere l’auto». Questa testimonianza chiave è stata avvalorata dall’acquisizione del verbale di uno dei testimoni, presenti ieri e ascoltato nelle scorse udienze che aveva affermato di «aver incontrato Valda a Barra, lui mi ha detto di aver sparato con un Revolver 38 Special prima due colpi in aria perché gli avversari gridavano che la pistola era a salve, quindi per dimostrare che la pistola era vera ha detto poi di aver sparato un colpo nell’auto modello 500 X grigia, parcheggiata lì». 

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I genitori 

Tra le testimonianze del gruppo del Rione Traiano, è emerso anche che uno dei giovani si era accorto che Valda «aveva qualcosa otto il giubbotto» e tutti i testimoni, salvo quello che aveva chiamato gli amici per raggiungerli sul posto, hanno affermato di aver saputo solo dopo la fine del litigio i motivi per cui era scoppiato. «L’udienza ha mostrato il degrado a cui siamo arrivati, si muore da innocenti per un drink o un pestone sulle scarpe, così come per uno sguardo di troppo o per una mancata precedenza» ha sottolineato Sergio Pisani, difensore della famiglia Maimone che era presente in aula con Tina e Antonio, genitori di Francesco Pio e alcuni dei suoi familiari. «Finalmente abbiamo visto uno spiraglio di luce in questo processo e ringraziamo il giudice e la pm, abbiamo grande fiducia nella giustizia e invochiamo una pena esemplare perché non ci siano più vittime innocenti come nostro figlio». 

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