Assenteisti, Brunetta: la mia riforma buttata via. Oggi leggi inutili

di Nando Santonastaso
Sabato 3 Gennaio 2015, 23:36 - Ultimo agg. 23:50
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La riforma c’è già, basta applicarla, altro che nuove leggi. Renato Brunetta, che da ministro della Funzione pubblica nel governo Berlusconi del 2008 ha legato il suo nome (e non solo) alla prima, vera spallata legislativa al vecchio sistema di norme e privilegi della Pubblica amministrazione, lancia la sfida a Matteo Renzi: «Pronto a confrontarmi con lui alla tv di Stato: come può dire che nel 2015 cambieranno le regole sul pubblico impiego se le riforme Brunetta-Berlusconi le hanno modificate dal 2008? Perché il presidente del Consiglio non decide di metterle in pratica anziché annunciare ulteriori, inutili provvedimenti?» attacca il presidente dei deputati di Forza Italia.



Si spieghi, Brunetta: esistono già norme capaci di combattere efficacemente l’assenteismo nel pubblico impiego?

«Assolutamente sì. Le ha introdotte la legge numero 133 del 2008. Il nostro governo si schierò apertamente dalla parte dei cittadini, stanchi di vedere la cattiva burocrazia tradire la buona fede di chi paga le tasse. La nostra riforma, al contrario, puntava a obiettivi chiari: migliore organizzazione del lavoro, migliore qualità delle prestazioni erogate al pubblico, riconoscimento dei meriti del personale e dei dirigenti bravi. Anche Renzi lo sa bene perché da presidente della Provincia di Firenze l’applicò. Solo che...».



Solo che?

«Solo che poi non ha pagato la scommessa che gli avevo lanciato. Gli dissi che se fosse riuscito con la mia riforma a ridurre l’assenteismo oltre il 40%, mi avrebbe regalato una Montblanc. In caso contrario gliel’avrei donata io. La scommessa l’ho vinta io ma la penna non l’ho mai ricevuta...».



Torniamo alla sua riforma: prevedeva anche i licenziamenti per assenze ingiustificate?

«Certo. E non solo per i dipendenti ma anche per i loro dirigenti: perché alla fine esiste una precisa responsabilità dei dirigenti pubblici di fronte a questi abusi ed è espressamente prevista sul piano sanzionatorio, fino appunto alla possibilità di licenziarli. Insomma, non si può dire, come sostengono Renzi e il ministro Madia, che la battaglia contro i fannulloni l’hanno inventata loro».



Anche questo è un suo merito, Brunetta?

«E come no? Siamo stati i primi a parlare di ”fannulloni” a proposito degli sfaccendati della Pubblica amministrazione. E non furono solo parole. Abbiamo varato riforme organiche che andrebbero riconosciute con un pizzico di onestà intellettuale: dalle penalizzazioni economiche sul salario accessorio per le finte assenze per malattia alla trasmissione on line dei certificati medici, alla pubblicazione quotidiana sul sito del governo delle assenze dei dipendenti pubblici a livello centrale e periferico. Un deterrente formidabile tanto è vero che nei primi mesi della riforma il calo dell’assenteismo fu clamoroso».



Ma non le risparmiò polemiche anche violente...

«E chi le può dimenticare. Contro il governo Berlusconi ci fu un’ostilità quasi assoluta: dai lacché di una certa borghesia di sinistra ai sindacati di sinistra, fui messo simbolicamente al rogo. Non hanno risparmiato nemmeno il mio matrimonio».



Lei però non può negare che certe norme, quelle ad esempio per le malattie degli insegnanti, prestarono subito il fianco a molte critiche...

«Ma lo sa quanti présidi e direttori didattici mi hanno ringraziato perché grazie alla riforma rivedevano le facce di colleghi di cui avevano perso ogni traccia da mesi, se non da anni? La verità è che allora bisognava sollevare tutti contro il governo di centrodestra, esibire folle, ironie, satire da parte dei privilegiati. Un mestiere sempre caro alla sinistra».



Fu però il governo dei tecnici a bloccare l’attuazione della riforma.

«Esattamente. Con il governo Monti la pubblicazione dei dati degli assenteisti fu bloccata a livello analitico, fornendo il ministero solo andamenti sintetici del tutto inutili per i controlli da parte dei cittadini. Ed è accaduto lo stesso anche con i governi di Letta e di Renzi. Eppure la mia riforma era stata apprezzata e sostenuta senza indugi da tutti gli organismi internazionali, dalla Commissione europea all’Ocse».



La riforma Madia in cosa è vicina alla sua riforma, Brunetta?

«In tutto. Ne ha recepito praticamente l’impianto. Peccato che non ce n’era bisogno visto che bastava applicare la legge esistente. Pensi solo alla novità che avevo introdotto a proposito della mobilità del personale: non più volontaria ma obbligatoria con la sanzione del licenziamento se il dipendente, dopo due anni, avesse continuato a respingere la nuova sede di lavoro».



La convince la proposta di affidare solo all’Inps la responsabilità dele visite fiscale delle assenze per malattia sottraendolo alle Regioni e dunque alle Asl?

«Ce n’eravamo occupati anche noi, all’epoca, preoccupati di uno scaricabarile di competenze. La disponibilità dell’Istituto è apprezzabile e comunque se l’Inps si è fatta avanti non è solo perchè i suoi conti sono migliori di quelli delle Asl o perché l’esperienza maturata con il settore privato ha dato buoni risultati. È anche perché noi a suo tempo affidammo proprio all’Inps la gestione dei certificati di malattia on line tanto per il settore privato che per quello pubblico».



Sia sincero, qual è il suo rammarico maggiore?

«Che l’attuazione della mia riforma non fu accompagnata dal rinnovo contrattuale del pubblico impiego a causa della crisi. È stato quello l’impasse decisivo anche se per farvi fronte avevo elaborato il cosiddetto ”dividendo dell’efficienza”, anch’esso acquisito dalla riforma Madia. In base ad esso, le amministrazioni capaci di risparmiare più di quanto previsto dal loro budget avrebbero potuto destinare metà di quelle risorse alla premialità dei loro dipendenti, sfondando anche il vincolo Tremonti sul limite di spesa e sfidando le resistenze della sinistra e dei sindacati di sinistra, da sempre contrari a distinguere tra buoni e cattivi. Capisce allora perchè sono pronto a sfidare Renzi? E a volere la mia Montblanc».