Il buio nell'isola
dei colori

di Giuseppe Montesano
Martedì 22 Agosto 2017, 23:55
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Per anni ho passato gran parte delle mie estati a Ischia, in quei colori di buganvillee divampanti e fiori di ogni genere e capperi sulle rocce come solo l’isola verde sa regalare a picco su un mare profondo: e sono stato felice. Ma ora ho dovuto vederla nel buio del terremoto in cui le voci di paura si moltiplicavano.

Nel buio in cui il terrore ci assale come se si tornasse a epoche preistoriche, nel buio che cancella tutti i colori e li affoga nella catastrofe e nella paura del giorno seguente. E alla sensazione del buio che copre il colore si aggiunge qualcosa che è legato a questi giorni di vacanza, la sensazione che la catastrofe sia qualcosa di irreale, una sensazione che chiunque sia stato sull’isola magnifica anche una volta sola avrà provato di fronte al terremoto: perché quella sensazione è il modo che abbiamo di resistere a ciò che è molto doloroso, come il vedere un volto amato sfigurato da una malattia e ripeterci che forse non vediamo bene.


Di fronte allo scatenamento improvviso di una potenza distruttiva che sembrava addormentata siamo sempre inermi, nonostante tutto ciò che ci ripetiamo per razionalizzare le catastrofi naturali: ma in un terremoto che si manifesta nel pieno delle vacanze c’è qualcosa di spettrale e di inquietante. Gli ombrelloni si sono chiusi dolcemente, il sole è tramontato da poco e la luce si è venata di rosa e rosso e argento indescrivibili, e poi è arrivata l’ora serale in cui c’è la cena con l’odore dei peperoni fritti nel rumore dei piatti o la preparazione eccitata dei ragazzi per la notte di divertimento: ma a Ischia l’altro ieri è stata l’ora in cui tutto si capovolge e il tempo viaggia stravolto, mentre appaiono le prime immagini di case crollate e le prime notizie di persone morte, di bambini salvati, di sudore e di lacrime ingoiate dalla polvere che si è levata nel vento di dopo il terremoto, di migliaia di sfollati che devono trovare alloggio e di migliaia di turisti che vogliono fuggire dall’isola trasformatasi da materna madre nelle cui calde acque termali ci si riposa e si guarisce in matrigna di scosse sotterranee che feriscono e uccidono. Non si può dire, come se fossimo esseri primitivi, che un cataclisma naturale è malvagio: eppure qualcosa di profondamente arcaico in noi ce lo fa pensare, ogni volta, almeno per un istante. Perché nelle vacanze? Perché mentre un po’ di divertimento viene preso al volo dagli esseri umani? Perché proprio adesso che dovevamo riposare e ridere? Sono domande insensate, che però spingono e bussano, perché siamo arcaici e umani, e perché non ci rassegniamo all’indifferenza della natura.

Siamo viziati da un’idea di natura coltivata e gentile, e ancora di più dall’idea della natura buona e bella a cui gli uomini cattivi fanno del male: ma la natura non è né bella né gentile, e non ha nessun obbligo di esserlo nei nostri confronti. La natura è come è, e basta. Lo sapevano bene i nostri antenati, che non avevano le nostre illusioni, e sapevano che costruire un terrazzamento per coltivare l’uva è una fatica bestiale che la natura non fa da sola: così come sapevano che la natura dà giorni di sole e giorni di pioggia senza tener conto dei nostri desideri, e che genera e distrugge seguendo solo le sue vie.


Noi invece siamo incapaci di avere un rapporto sano con la natura, e oggi più che mai: perché abbiamo disimparato ad avere il giusto timore e quindi la giusta visione del mondo in cui siamo immersi.
Perché distruggiamo o sabotiamo il mondo credendo che la tecnica risolverà tutto: e non è vero, come sa la scienza. E non si parla qui di questioni concrete come la manutenzione del territorio o il monitoraggio dei luoghi a rischio, ma di qualcosa che si è spezzato nel nostro rapporto con quella natura senza la quale non esistiamo. Ma poi sentiamo delle preoccupazioni per altre scosse, e ci ricordiamo dei morti innocenti e del divertimento che si è trasformato in terrore: e allora non pensiamo più alla Natura con la maiuscola, ma all’isola che amiamo, e alle persone che là sanno ancora vivere con un ritmo non frenetico. E speriamo solo che si dissipi la polvere sulle macerie e che i suoi abitanti tornino a respirare senza paura. Nient’altro.
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