Sanità a due velocità: al Sud pochi screening e più morti di cancro

In Campania gli investimenti minori d’Italia: 18 euro a testa

Sanità al Sud
Sanità al Sud
di Nando Santonastaso
Giovedì 8 Febbraio 2024, 02:10 - Ultimo agg. 18:58
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Non è la stessa cosa scoprire di avere un tumore in Emilia o in Calabria. Al Nord è più facile accorgersene in tempo e curarlo, al Sud molto meno come indicano i dati sul tasso di mortalità oncologica: 9,6 ogni diecimila abitanti nelle regioni meridionali contro 8 del Settentrione, con le donne salite all’8,2 nel 2022 dopo essere state allineate alla media nazionale negli anni precedenti. Non è del resto un caso che l’aspettativa di vita alla nascita nel Mezzogiorno sia la più bassa in assoluto: 81,7 anni di media (79,5 per gli uomini e 83,9 per le donne), 1,5 anni in meno rispetto al Nord Est, 1,3 in meno rispetto al Centro.

È l’Italia divisa in due nel diritto alla salute quella che emerge, in maniera anche drammatica, dallo studio presentato ieri dalla Svimez, in collaborazione con Save the children. Odioso e inaccettabile, il divario resiste e, secondo gli autori, rischia di allargarsi ancora se i timori sull’autonomia differenziata troveranno conferme. «Il Mezzogiorno, secondo gli indicatori BES (Benessere Equo e Sostenibile) sulla salute, è l’area del Paese caratterizzata dalle peggiori condizioni di salute» si legge nel Rapporto. E la clip che lo ha introdotto ieri, con la storia di due donne di 60 anni che vivono l’emergenza di un tumore in aree geografiche diverse e dunque con approcci e conseguenze dissimili, ne è il riassunto più efficace, duro, reale.

C’è un evidente problema di riparto delle risorse dietro i ritardi delle regioni meridionali. «La distribuzione regionale delle risorse, basata su dimensione e struttura per età della popolazione, non rispecchia gli effettivi bisogni di cura e assistenza dei diversi territori, condizionati anche da fattori socio-economici non contemplati nei criteri di riparto» dice la Svimez. E i dati regionalizzati di spesa sanitaria lo confermano: al Sud «i livelli di spesa per abitante, corrente e per investimenti, sono mediamente più contenuti. A fronte di una media nazionale di 2.140 euro, la spesa corrente più bassa si registra in Calabria (1.748 euro), Campania (1.818 euro), Basilicata (1.941 euro) e Puglia (1.978 euro).

Per la parte di spesa in conto capitale, i valori più bassi si ravvisano in Campania (18 euro), Lazio (24 euro) e Calabria (27 euro), mentre il dato nazionale si attesta su una media di 41 euro».

I piani di rientro, ovvero la graduale riduzione della spesa dei Servizi sanitari regionali del Sud, ha in parte corretto gli squilibri economico-finanziari «con recuperi di efficienza e appropriatezza nell’utilizzo delle strutture ospedaliere» ma non hanno certo impedito le migrazioni sanitarie interregionali, anche quelle connesse alle patologie pediatriche, si riducessero drasticamente. Nel 2022, per il tumore al seno, un terzo delle donne calabresi è andata ad operarsi in un ospedale lombardo e poco meno di un quarto è partita per il Lazio. Ma la “fuga dal Sud” per le patologie più gravi è un dato da tempo acquisito anche se in lieve regressione: dei 629 mila migranti sanitari del 2022 il 44% era residente in una regione del Mezzogiorno e ben 12.401 pazienti meridionali con gravi malattie si sono spostati per ricevere cure in una regione del Centro o del Nord (il 43% dalla sola Calabria). Il percorso inverso non regge il paragone: solo 811 pazienti del Centro-Nord (lo 0,1% del totale) hanno fatto il viaggio al contrario. Insomma, «la presa in conto di fattori socio-economici nei criteri di riparto renderebbe la distribuzione del finanziamento nazionale tra le Regioni più coerente con le finalità di equità orizzontale del Servizio sanitario nazionale», dice Svimez (è la tesi da anni sostenuta tra gli altri anche dal governatore della Campania Vincenzo De Luca.

«Incrementare complessivamente le risorse – dice Luca Bianchi, Direttore generale Svimez – convive con la priorità di potenziare da subito le finalità di equità del Servizio sanitario nazionale. Rafforzare la dimensione universale di quest’ultimo è la strada per rendere effettivo il diritto costituzionale alla salute». E vuol dire anche, aggiunge Raffaella Milano di Save the children, prendere atto che «occorre una rete di servizi di prevenzione e cura per l’infanzia e l’adolescenza all’altezza delle necessità».

Difficile darle torto. In un Paese nel quale aumenta la spesa sanitaria per le famiglie (poco meno di 1 euro su 4 del totale è un costo sostenuto dai cittadini, con un incremento della componente privata passata dal 20% al 24% in un decennio, è emblematico. Nel biennio 2021-22, secondo l’Istituto superiore di Sanità, solo una donna su due tra 50 e 69 anni al Sud si è sottoposta ai controlli previsti dai programmi di screening oncologici gratuiti (contro le due su tre al Nord). Ma in Calabria, ultima tra le regioni, sono state appena l’11,8% del totale e in Campania il 20,4%. Tra sfiducia nel sistema sanitario regionale, vuoti organizzativi e scarsa informazione il risultato non potrebbe essere peggiore.

I dati del Rapporto riaprono e anzi rilanciano anche le polemiche politiche. «Il Servizio sanitario nazionale, già strangolato dal governo con la riduzione delle risorse e messo a rischio anche dalle differenze regionali con l’autonomia differenziata imploderebbe», dice il deputato Pd campano Piero De Luca. Proseguire su questa strada, rincara la dose Valeria Ciarambino, vicepresidente del Consiglio regionale della Campania: i divari esistenti «determinano i cosiddetti viaggi della speranza in sanità, che costano al Sud oltre 4 miliardi di euro a vantaggio delle regioni del Nord, senza risparmiare neanche i bambini il cui tasso di mortalità è superiore nel Mezzogiorno. Aumentare le risorse per la sanità e garantire un diritto alla salute eguale su tutto il territorio nazionale, questa dovrebbe essere la priorità del Governo».

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