Marino va via: Renzi mandante Il premier: nessuna congiura

Marino va via: Renzi mandante Il premier: nessuna congiura
Sabato 31 Ottobre 2015, 02:18
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Alessandra Chello
Titoli di coda sul pasticcio romano in salsa al vetriolo. Si stacca la spina alla giunta Marino. L'ostinato accanimento terapeutico del chirurgo col tricolore, non è servito a niente. Ora la corsa è proprio finita. Si scende. In un clima rovente da Idi di ottobre l'ormai ex primo cittadino fa i bagagli. E si tuffa in un transfert mica da niente. Ignazio si sente come Giulio Cesare quando racconta di conoscere uno per uno i suoi carnefici: 19 consiglieri dem più altri 7 di cui due della maggioranza e 5 dell'opposizione. Tra questi anche 2 della Lista Marchini, Alfio Marchini compreso, 2 fittiani conservatori riformisti, uno del Pdl. È il manipolo che ha sbattuto la porta facendolo colare definitivamente a picco. «Sono stato accoltellato da 26 nomi e cognomi - tuona - ma da un solo mandante».
L'allusione al premier è servita. Con tanto di Renzi-replica: «Marino non è vittima di una congiura di palazzo, ma un sindaco che ha perso contatto con la sua città, con la sua gente». E aggiunge: «Al Pd interessa Roma, non le ambizioni di un singolo, anche se sindaco. E per questo faremo di tutto per fare del Giubileo ciò che è stato l'Expo per Milano. Questa pagina si è chiusa, ora basta polemiche, tutti al lavoro».
Cronaca di un venerdì nero. L'ultimo (stavolta vero) addio consumato tra mucchi di telecamere, grovigli di microfoni, improvvisi black out, notai consiglieri ratificatori, colpi bassi, liste-pizzino di cose da portar via. E di promesse mantenute. «Roma è tornata a essere virtuosa. In questi 28 mesi straordinari abbiamo sbarrato le porte al malaffare, chiuso con Parentopoli» dice Marino che durante il suo mandato ha ostinatamente cercato di cucirsi addosso l'abito di sindaco della legalità. Dell'anti-Mafia Capitale. E che però si scopre essere indagato nell'inchiesta sulle spese di rappresentanza. Un argomento sul quale lui interviene così: «È un atto dovuto per svolgere le indagini».
Va avanti. Continua. Si sfoga. E fa quello che avrebbe voluto fare in Aula. Per lui il luogo dove «chiudere la crisi politica». Già. Se non fosse per il fatto che non c'è stato tempo. Le truppe del Pd si sono mosse in anticipo scongiurando così quello che sarebbe stato un vero e proprio bagno di sangue. Ma lui tiene l'affondo più lungo per il finale: «Prendo atto che i consiglieri si sono sottomessi e dimessi per evitare un confronto pubblico» taglia corto.
Intanto, il Campidoglio si prepara ad accogliere il nuovo inquilino: il commissario Francesco Paolo Tronca, attualmente prefetto di Milano. Mentre in serata Orfini ha annunciato che il Pd a Roma farà le primarie. Come dire: nulla è ancora precostituito. Sta di fatto che nessun dirigente, sub commissario, esponente di maggioranza o di minoranza scommette sul lancio di una candidatura di partito per le comunali. «Al massimo come Pd potremo fare i portatori d'acqua di candidature altrui, come partito abbiamo fatto malissimo e non abbiamo le carte per una candidatura di partito», riconoscevano l'altro giorno alcuni deputati romani.
Il toto-nomi è già partito. Messe in circolo più per vedere l'effetto che fa, le nomination delle ministre Boschi, Madia e Lorenzin, girano soprattutto quello del prefetto Gabrielli (ma l'interessato continua a non volerne sapere) e quello dell'assessore uscente Sabella, che aveva mostrato disponibilità non molto recepita dalle parti del Pd. E lui? L'ex primo cittadino della Città Eterna? «Andrò in Campidoglio a fare l'ordinario finché non arriva il commissario» risponde secco.
L'era Marino è finita.
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