Napule è, il popolo di Pino ha invaso la «sua» piazza

Napule è, il popolo di Pino ha invaso la «sua» piazza
Mercoledì 7 Gennaio 2015, 04:23
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Pietro Treccagnoli
Pino Daniele è riuscito a riempire piazza del Plebiscito da vivo e da morto. Solo lui poteva farlo. Solo lui l'ha fatto. Ieri sera, nel gennaio più gelido della musica napoletana, nel luogo-simbolo della città non saranno stati gli oltre 100mila dello storico concerto del 19 settembre del 1981, ma quando è scattata l'ora designata per il flash mob, organizzato spontaneamente su Facebook, il catino borbonico racchiudeva 50mila persone, ma forse erano molti di più, poiché crescevano di minuto in minuto: tre fiumi di gente continuavano ad arrivare da via Chiaia, via Toledo e via Cesario Console. Sicuramente saranno stati molti, ma molti, di più dei 30mila che avevano annunciato di partecipare, cliccando sul tastino del social network. Per il sindaco Luigi de Magistris erano 100mila. Le cifre vanno prese per quelle che sono. Chi poteva contare quel mare infinito di gente?
Era tutto il popolo di Pino, eterno e sempre rinnovato. Senza età e di tutte le età. Giovani coppie, papà con i bambini sulle spalle (che già cantilenavano qualche parola delle canzoni), cinquantenni e sessantenni, mamme con il passeggino, ragazzi del centro e della periferia. Era la Napoli che ama un fratello, un figlio, uno zio andato via prematuramente, ma è arrivata pure quella più giovane che le canzoni di Pino le ha fatte sue grazie ai genitori o che non ha voluto bucare l'evento, conquistato dalla malinconia frenesia che da domenica ha contagiato la città e il Paese. Era il pubblico intergenerazionale del Mascalzone latino che non ce l'ha fatta ad aspettare i funerali che si terranno stasera alle 19 proprio nella basilica della piazza e ha voluto celebrare il proprio rito laico, autopromuovendolo, incurante dei contrasti familiari. Alla Befana come a San Gennaro, quindi, 33 anni dopo, per stare vicino a Pino «pecché 'o munno è spuorco e nun cercà 'e sapé, meglio che duorme».
L'invito era stato semplice: vediamoci per cantare tutti assieme «Napule è». Ma poi non sono stati solo «mille culure», ma decine di migliaia di voci in un coro a squarciagola perché «un posto ci sarà per essere felici» (come suona «Sicily»). Un canto partito un'ora prima del previsto. Dopo una giornata che la città ha vissuto ascoltando fin dalla mattina le canzoni del Nero a metà, da ogni radio, da ogni amplificatore, da ogni bar, per le sue strade illuminate da un sole amaro, adesso nella notte illuminata da una luna piena ruffiana sopra Palazzo Reale, i cuori di Napoli non erano ancora sazi e hanno faticato a tornare a casa.
E quindi, tutti seduti, stretti stretti sopra i gradini del pronao impacchettato di San Francesco di Paola, in piedi, stretti stretti, come sardine, hanno intonato e stonato (ma la forza e la bellezza della liturgia spontanea è proprio questa) «Je so' pazzo», «Quando», «Che soddisfazione», «Yes, I know my way», «Na tazzulella 'e cafè», «'O scarrafone». Poche strofe, non tutti conoscevano le parole per intero, intercalate da cori da stadio («Alé, alé alé alé, Pinò, Pinò»), perché l'emozione per il saluto a Pino s'intrecciava con il piacere della vittoria del Napoli a Cesena. Sulle impalcature striscioni. Spiccava un «Per sempre con Pino», con la sagoma della sua testa. E ancora: «Solo tu, sempre tu, proprio con te, cia' guagliò» e il verso di Massimo Trosi «'O saie comme fa 'o core». Non c'è stato bisogno di accendere candele. Tutti hanno illuminato la piazza con gli smartphone, adoperati come torce e come videocamere. Moltissismi a fotografarsi. Nessuno resisteva alla tentazione di un selfie per immortalarsi nella notte che ha immortalato l'Uomo in blues. Qualcun altro, più smanettone, è riuscito a postare in diretta dei filmati sulla pagina Facebook per condividere, con chi non c'era, la notte in cui il dolore è diventato magia. Potenza del Musicante mediterraneo, del Lazzaro felice.
I più impavidi sono saliti sui ponteggi, incuranti dei segnali di pericolo. Sotto il cavallo di bronzo di Ferdinando IV hanno acceso un fumogeno bianco e a una zampa posteriore qualcuno ha attaccato una bandiera della Confederazione americana, simbolo del Sud, della musica del Sud. Al canto a squarciagola, ritmato dal battito delle mani, faceva eco il sussurro di chi canticchiava i versi tra sé e sé per pudore o come una preghiera personale. La passione era tanta, palpabile, forte, come un'onda di commozione che si poteva solo cantare, come un pensiero triste per il quale non c'era lo spazio fisico per ballare. Malinconici, fino alle lacrime per l'addio a Pino, felici di ritrovarsi per un amico, per un parente, per la colonna sonora di tutta la vita, perché Napul'è e Napule sarà.
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