L'Aquila e Amatrice, fabbrica di terremoti
«Ma il numero di morti ha cause diverse»

L'Aquila e Amatrice, fabbrica di terremoti «Ma il numero di morti ha cause diverse»
di Stefano Ardito
Venerdì 26 Agosto 2016, 11:47 - Ultimo agg. 27 Agosto, 09:42
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La fabbrica dei terremoti è accanto a noi. L'Appennino, per gran parte del suo sviluppo, è percorso dalla linea che salda due parti d'Italia che tentano da millenni di allontanarsi l'una dall'altra. Mentre le regioni che si affacciano sul Tirreno, cioè il Lazio, la Toscana, la Campania e buona parte dell'Umbria restano ferme, quelle della costa orientale, cioè le Marche, l'Abruzzo e il Molise, si spostano verso nord-est di qualche millimetro all'anno. L'Adriatico, ogni secolo, si stringe di circa mezzo metro. Lungo la linea, che i geologi chiamano faglia, l'energia si accumula per anni, poi si scatena all'improvviso. «Nell'Appennino centrale e meridionale, grosso modo da Gubbio a Potenza, il meccanismo è sempre lo stesso. Su una distanza di 20 o 30 chilometri la faglia si rompe, la parte verso il Tirreno si abbassa, quella rivolta all'Adriatico si alza. L'energia che si libera determina la scossa di terremoto», spiega Massimo Cocco, sismologo dell'INGV, l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

FORZA 7
I terremoti più frequenti hanno una magnitudo intorno a 6 della scala Richter, quella degli eventi che hanno colpito nel 2009 L'Aquila, e l'altro ieri l'alta valle del Tronto e Amatrice. Gli eventi più forti, quelli che causano distruzioni apocalittiche, sono più rari e hanno una magnitudo intorno a 7.

ZONA CONOSCIUTA
Nella storia dell'Italia moderna, dei superterremoti di questo tipo hanno colpito nel 1703 Norcia e L'Aquila, nel 1908 Reggio Calabria e Messina, nel 1915 Avezzano e decine di borghi della Marsica. Il sisma del 1980, che ha avuto l'epicentro in Irpinia, e ha causato seri danni anche in Calabria e a Napoli, ha avuto una magnitudo di 7.2. Sui terremoti che colpiscono l'Appennino, i geologi in realtà sanno molto. «L'Abruzzo e le zone vicine sono tra le parti d'Europa per cui abbiamo le informazioni più antiche. Il primo terremoto che conosciamo ha devastato nel 1315 L'Aquila. Sappiamo meno di quello che intorno al 1298 ha causato gravi danni a Rieti», spiega Gianluca Valensise, il sismologo che coordina da cinque anni il Progetto Abruzzo dell'INGV, teso a valutare il pericolo sismico nei centri e nelle valli dell'Appennino. «Nel 1349, un terremoto con epicentro nella valle del Salto, sul confine tra il Lazio e l'Abruzzo, ha causato gravi danni a Roma e ha abbattuto un pezzo del Colosseo. Oggi un evento del genere avrebbe conseguenze drammatiche», prosegue Valensise. «L'ultimo terremoto importante nella zona di Amatrice è avvenuto nel 1639. Un intervallo così lungo, purtroppo, aiuta la popolazione e gli amministratori a dimenticare il pericolo».





PERICOLO E SIMILITUDINI
A parte gli eventi più forti, i terremoti che scuotono periodicamente l'Appennino sono molto simili tra loro. «Il terremoto dell'altro ieri ad Amatrice e quello di sette anni e mezzo fa a L'Aquila hanno in comune la direzione del distacco, l'entità dell'abbassamento della zolla tirrenica, probabilmente anche l'energia liberata. Sui danni, invece, influiscono dei parametri diversi», spiega il sismologo Massimo Cocco.

Sul destino di ogni borgo, di ogni casa, di ogni uomo o donna che vi abita poi influiscono molti altri fattori. «Se un edificio sorge su roccia solida ha dei danni limitati, se poggia su dei sedimenti non consolidati i danni possono essere cinque o dieci volte maggiori. Nei borghi costruiti sulle alture l'energia si concentra, con effetti devastanti», prosegue Cocco. Non occorre essere scienziati, invece, per capire che anche l'ora e la stagione influiscono. Ad Arquata del Tronto, Accumoli e Amatrice, le case erano piene di famiglie tornate per le ferie di agosto nel paese d'origine. Tra una o due settimane se ne sarebbero andati tutti. Un terremoto di notte può fare una strage. Le vittime dell'altro ieri, come quelle del 2009 a L'Aquila, sono poche rispetto ai 5000 abitanti su 6000 di Pescina uccisi prima dell'alba del 13 gennaio 1915 dal terremoto della Marsica. Tra loro è la madre del quindicenne Secondino Tranquilli, che diventerà uno scrittore famoso e si firmerà Ignazio Silone.

UN AMBIENTE SPECIALE
In ogni epoca e a qualunque ora del giorno, un fattore importante del rischio è la qualità degli edifici. «Non è il sisma in sé a fare i danni, ma la vulnerabilità dell'ambiente costruito dall'uomo», spiega il sismologo Massimo Cocco dell'Ingv. Il problema, almeno in parte, sta proprio nell'identità dell'Appennino. Una terra che conserva una natura straordinaria, che è stata al centro per millenni della storia, e che oggi è diventata marginale. In Alto Adige e in Trentino si tutelano le montagne e il paesaggio, e si aiutano i montanari a restare con servizi efficienti, buone strade, bus e treni frequenti e puntuali. Tra Accumoli, Arquata del Tronto e Amatrice si incontrano due dei parchi nazionali più importanti d'Italia (Gran Sasso-Laga e Sibillini), arrivano appassionati di natura ed escursionisti da tutta Europa. I borghi e le frazioni però restano vuoti per undici mesi ogni anno, e per mettere a norma una casa di vacanza non si spendono soldi volentieri. «L'Italia è un paese di montagna che crede di essere un paese di mare», ha detto anni fa Marco Paolini, scrittore, attore e drammaturgo di Belluno, per spiegare la tragedia del Vajont. La stessa miopia, applicata al Lazio, all'Abruzzo o alle Marche, spiega perché la fabbrica dei terremoti continui a fare un numero così alto di vittime.