Il leader del Labour ha contestato alla premier di non voler davvero dialogare e di fatto «perdere tempo» per lasciare il Paese di fronte all'alternativa fra un il suo accordo ormai morto e un no deal che «sarebbe catastrofico per il Paese». Un no deal, ha polemizzato Corbyn, che anche i ministri dell'ala moderata del governo Tory come Philip Hammond e Amber Rudd chiedono di escludere a priori dal tavolo. May, rispondendo più avanti a sollecitazioni di deputati conservatori brexiteers, si è peraltro limitata a ribadire di voler garantire l'attuazione della Brexit, per «far uscire la Gran Bretagna dall'Ue con un accordo», senza accennare neppure a ipotesi di rinvio.
E ripetendo il suo no a un referendum bis. In polemica con gli indipendentisti scozzesi dell'Snp, pure allarmati da un possibile divorzio no deal da Bruxelles, la premier li ha accusati di voler poi strumentalizzare il dossier per far campagna per un nuovo referendum sulla secessione della Scozia dal Regno. Un referendum che il governo intende impedire, ha detto, considerando definitivo il risultato del 2014.
«Un rinvio della Brexit, attraverso l'estensione dell'articolo 50 oltre la data di divorzio di Londra dall'Ue prevista per il 29 marzo non risolverebbe la situazione, ha aggiunto la premier prima della conclusione del dibattito. «La decisione resta la stessa: un deal, un no deal o una no Brexit», ha tagliato corto, ribadendo di essere da parte sua decisa ad «assicurare che il Regno Unito esca dall'Ue con un deal».