Presidenziali a Taiwan: vince Tsai, presidente «anti-Cina»

Presidenziali a Taiwan: vince Tsai, presidente «anti-Cina»
di Erminia Voccia
Sabato 11 Gennaio 2020, 23:02
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È una vittoria della democrazia quella della presidente di Taiwan Tsai Ing-wen del DDP, Partito Democratico e Progressista. Tsai ha vinto le elezioni presidenziali di sabato 11 gennaio, un test sulla sua presidenza ma soprattutto un referendum sui rapporti futuri che l'isola avrà con la Cina continentale. Grazie all'approccio duro mostrato nei confronti di Pechino, Tsai Ing-wen ha conquistato un secondo mandato e ha battuto il candidato Han Kuo-yo dei Nazionalisti del Guomindang, il quale proponeva come alternativa legami più stretti con la Cina. Tsai ha ottenuto oltre il 57% dei consensi, vale a dire più di 8 milioni di voti, un record nella storia democratica recente di Taiwan, mentre il rivale Han Kuo-yo si è fermato a poco più del 38%. Il Partito Democratico e Progressista continuerà così ad avere la maggioranza in parlamento, il Legislative Yuan.




Nei disegni del presidente cinese Xi Jinping l'isola di Taiwan, di fatto indipendente, è una piccola provincia «ribelle» da riannettere al territorio cinese, se è necessario anche facendo ricorso alla forza. La Cina vorrebbe replicare l'applicazione del principio "un Paese, due sistemi" che vige in modo discutibile ad Hong Kong anche a Taiwan. Tsai ha tuttavia respinto più volte e con fermezza il principio dell'unica Cina, abbracciando le proteste pro democrazia che nel 2019 hanno sconvolto Hong Kong e ponendosi a difesa dei valori democratici. Le urne l'hanno premiata. «Per la Cina non dobbiamo essere un problema, ma un partner», ha affermato Tsai. Taiwan è sempre più isolata diplomaticamente dalla Cina ma è sostenuta dagli Stati Uniti di Donald Trump. La storica telefonata tra il presidente Trump appena eletto e la presidente Tsai, che aveva causato l'ira di Pechino, è stata seguita da decisioni precise da parte dell'Amministrazione Usa, come la vendita di 1,4 miliardi di dollari in armi americane a Taipei.

Niente però era scontato, Tsai a novembre 2018 aveva subito una bruciante sconfitta alle elezioni regionali, dalle quali i nazionalisti del Guomindang, vecchio rivale della Cina di Mao ma oggi vicino a Pechino, erano usciti rafforzati. In generale, tutto il campo progressista era uscito sconfitto. Il populista e nazionalista Han Kuo-yo, facile alle uscite alla Trump, sembrava una minaccia seria alla rielezione di Tsai. Ma le proteste ad Hong Kong hanno dato nuova linfa all'animo democratico dei taiwanesi, spaventati forse dalla prosettiva di un'ingerenza della Cina negli affari dell'isola. La campagna per le presidenziali del 2020 è stata dominata non a caso dai temi della sovranità nazionale e della democrazia. La risalita di Tsai non è stata però semplice. La presidente aveva perso il contatto con la base elettorale, soprattutto giovani, non avendo portato a termine le promesse di migliorare la situazione economica e alzare i salari, che ad oggi restano quasi invariati. Eletta per la prima volta nel 2016 al culmine di un processo scaturito dalla Rivolta dei girasoli del 2014, Tsai sembrava fosse stata abbandonata da chi l'aveva scelta come leader. Le proteste ad Hong Kong hanno dato slancio alla sua campagna elettorale. Tsai, mediatrice dal basso profilo, è riemersa più forte di prima.
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