Professori e studenti a Londra
«Essere napoletani è un handicap»

Professori e studenti a Londra «Essere napoletani è un handicap»
di Francesco Lo Dico
Giovedì 13 Ottobre 2016, 08:24 - Ultimo agg. 08:40
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«Italian (Any Others), Italian (Napoletan) e Italian (Sicilian)»: l'incredibile schedatura etnica dei giovani connazionali meridionali, riportati a forza nell'era preunitaria in alcuni questionari di scuole inglesi e gallesi pareva una vicenda talmente grottesca da apparire una boutade. L'avventurosa iniziativa aveva, uno non meglio determinato scopo non discriminatorio: stabilire l'area linguistica dei figli degli immigrati italiani in modo da fornire ai genitori e ai loro bimbi, un'assistenza specifica nell'apprendimento dell'inglese. Ma dietro all'apparente svarione tecnico-amministrativo, dietro il quale si è trincerato il Foreign Office britannico tra scuse e imbarazzi, c'è solo una pedestre castroneria da anonimo funzionario, o in questa sobbolle una vena discriminatoria? Il professor Stefano Manferlotti, celebre anglista che insegna alla Federico II di Napoli, è pronto a scommettere su un puro e semplice abbaglio. «Pochi l'hanno ancora notato - osserva il docente di Letteratura inglese - ma la dicitura napolitan, riportata sui moduli contestati, è erronea: l'aggettivo corretto è in lingua inglese neapolitan. Mi sembra che l'increscioso errore derivi da un solecismo pedestre del funzionario britannico che ha portato avanti la schedatura soltanto perché poco attrezzato intellettualmente. Molti allievi napoletani del professore, oggi insegnanti stimati in Inghilterra, non sono mai stati discriminati.

«Studiosi e studenti napoletani, sono in Gran Bretagna molto apprezzati e sono stati accolti bene», soggiunge Manferlotti. «Per dirla con ironia - conclude il professore - sul grossolano infortunio deve aver inciso il tasso d'alcol elevato che nella fiera degli stereotipi si attribuisce ai britannici». Ma forse c'è di più che una semplice svista, in questo strano Regno unito del dopo Brexit, che troppo spesso sembra assecondare certi rigurgiti nazionalisti, a scapito dei migranti meno desiderati. Alcuni spunti utili in tal senso giungono dalla più prestigiosa scuola di inglese napoletana, la British school, che ha formato con successo migliaia di giovani a Napoli e nel resto della Campania, di cui molti premiati all'estero con assunzioni e risultati scolastici e universitari brillanti. «Ho insegnato italiano all'estero - spiega Rosa Maria Giordano, responsabile marketing dell'istituto - e tutte le volte che effettuavo il colloquio per l'incarico, la prima cosa che mi veniva domandata era: Italiana di dove?. Quando rispondevo che ero napoletana, i volti si rabbuiavano di colpo. Si continua a pensare alla nostra città come il luogo di pistole, furti e rapine. Inaccettabile». Che parte dei cittadini britannici, anche colti, covi più di qualche pregiudizio verso Napoli, è confermato da un altro dettaglio assai significativo. «Spesso - racconta Giordano - ci imbattiamo in grosse difficoltà nel reclutare docenti madrelingua per i nostri corsi, soprattutto nella sede di Nola». «In molti - spiega - hanno rifiutato l'incarico perché spaventati dal tasso di mortalità elevato, legato alla Terra dei fuochi, di cui parla Wikipedia nell'incipit della descrizione dedicata alla città. Pregiudizi e stereotipi pesano. I professori inglesi temono la criminalità, la camorra, le cattive abitudini. Molti ci comunicano chiaramente che non vogliono la cattedra per queste ragioni».

E se fossero i britannici, ad essere categorizzati in gallesi, scozzesi, inglesi di Londra o di Manchester? «Noi della British non lo abbiamo mai fatto - non credo iche i britannici sarebbero entusiasti di una cosa del genere», obietta la coordinatrice degli istituti campani della British School, Antonella Scarlata. Il pregiudizio pesa. Specie dopo la Brexit. E non tutti sembrano disposti a derubricare l'incidente delle scuole britanniche come una semplice burla di cattivo gusto. «All'inizio pensavo fosse una di quelle bufale che si trovano su Internet», racconta Michele La Motta, docente di origini partenopee che insegna da 25 anni a Cambridge - ma poi una mia cara amica mi ha confermato tutto». «In passato - chiarisce - le categorie erano chiare ma ora tutto è cambiato all'improvviso. Non ci volevo credere, ma è la pura verità. Quando abbiamo saputo della vicenda, abbiamo subito segnalato tutto a un giornale locale». Elena Maddalena, addetta alla comunicazione dell'Agenzia nazionale Erasmus che ha alle spalle una laurea all'università londinese di Westminster, sente di escludere però eventuali pregiudizi etnici verso napoletani, siciliani e sardi.

«Dietro l'anomala categorizzazione dei moduli scolastici, si cela la semplice ignoranza di qualche burocrate che non sa che cosa sia l'integrazione - argomenta - In Inghilterra vengono tradotti pochi libri che provengono da altri Paesi. Voglio sperare perciò che non sia sorto qualche pregiudizio a priori, e che si tratti soltanto di assenza di conoscenza, perché la mia esperienza diretta dice che noi studenti italiani venivamo trattati tutti alla stessa maniera. Semmai sono proprio gli italiani che tendono a fare gruppo tra di loro, senza troppa voglia di mischiarsi agli altri». Ha avuto esperienza diretta del sistema educativo britannico anche Giorgia Iannuzziello, originaria di Matera, che da studentessa bocconiana di Economia, ha trascorso un semestre in Erasmus all'università di Bath. «Non mi sono imbattuta in discriminazioni verso i meridionali - ci racconta - non credo che ci siano pregiudizi». La sua è una tesi tagliente e divertente al contempo. «A me sembra piuttosto - chiosa - che gli inglesi tendano a essere freddi e distaccati con tutti gli italiani, di Napoli o siciliani che siano, in maniera abbastanza uniforme».

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