Renzi, come salvare leadership e partito

di Pietro Perone
Martedì 14 Febbraio 2017, 08:46
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Il confronto a tratti è apparso sincero come non accadeva da tempo, anche se inimicizie e rancori sono emersi durante i tanti interventi nella lunga direzione Pd. Si è tornato dunque a parlare di politica, ed è questa la vera notizia. Merito anche di Renzi che ha ammesso la chiusura di un ciclo aprendo così la strada alla rielaborazione delle ragioni per cui nel Pd si dovrebbe continuare a stare insieme spegnendo i «fuocherelli» di una scissione che nessuno ieri ha evocato.

Sarà l’assemblea a prendere atto delle dimissioni del leader dando il via al percorso congressuale come per mesi ha chiesto la minoranza che ora, però, si mostra scettica, mentre Andrea Orlando sceglie una «terza via» chiedendo una conferenza programmatica, un modo per segnare soprattutto una certa distanza dal leader. Al momento i candidati alla segreteria sono già parecchi: oltre a Renzi, il governatore della Puglia, Michele Emiliano, quello della Toscana, Enrico Rossi, forse Roberto Speranza, ma il discorso del ministro della Giustizia potrebbe essere foriero di un’altra discesa in campo in nome, “ufficialmente”, degli eredi del Pci-Pds-Ds. Un ex ragazzo «rosso» contro un ex militante «bianco» cresciuto tra i Popolari e poi nella Margherita, il confronto tra le due «anime» del Pd a dieci anni esatti dalla sua nascita. Non è detto che ciò accada, ma se così fosse, il duello Orlando-Renzi sarebbe la prova che la fusione non è riuscita affatto. 

Storie diverse che ancora pesano, ma leitmotiv di quasi tutti gli interventi, a cominciare da quello di Piero Fassino, è l’amara constatazione di aver perso per strada il proprio popolo, quello di sinistra e di centro, deficit estremo per un partito che ambiva a mettere invece insieme le due tradizioni politiche italiane, il riformismo e il popolarismo. Grande ambizione rispetto a un’élite troppo spesso in lotta al proprio interno, bolgia di correnti che in periferia, e soprattutto nel Mezzogiorno, si trasformano in centri di potere. 

Il futuro è ora da scrivere su una pagina in parte bianca, nella consapevolezza che va tracciata una strada italiana al campo progressista vittima ormai di una crisi dalle dimensioni planetarie. Insomma, quali risposte è in grado di dare oggi il Pd alle nuove povertà, calibrando nello stesso tempo i diritti rispetto alle diverse sensibilità religiose ed etiche presenti al proprio interno?

Due delle sfide che pesano sui democratici e a cui il congresso sarà chiamato a dare risposte, senza dimenticare il rapporto perduto quasi del tutto con il Sud, come ha ricordato De Luca. Si riuscirà stilare le basi programmatiche di un’assise così impegnativa in poco più di un mese, facendo «vivere» quelle che un tempo si chiamavano le tesi congressuali nel confronto-scontro con la propria gente? 

Nell’epoca delle velocità informatica, tra blog e social, il tentativo di Renzi di svolgere un confronto serrato in così poco tempo appare possibile, ma senza dimenticare la lezione del referendum: più assemblee vere e meno «piazze virtuali» popolate quasi esclusivamente da avatar. 


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