Salerno, la rete del complice di Salah. L'algerino ospite di un marocchino irrintracciabile

Salerno, la rete del complice di Salah. L'algerino ospite di un marocchino irrintracciabile
di Daniela De Crescenzo - Inviato
Martedì 29 Marzo 2016, 08:44 - Ultimo agg. 17:01
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A Condolizzi, frazione di Montecorvino Pugliano, l'algerino Djamal Eddine Ouali lo conoscevano tutti. Via Luigi Calabritto è un vicolo stretto che si inerpica fino a uno spiazzo dove si arroccano un pugno di case, le piú antiche del paese. E in una di queste viveva da un paio di mesi lo straniero arrestato davanti alla chiesa del Sacro Cuore sabato pomeriggio. Solo che i vicini di casa, che in un posto del genere sono praticamente tutti, pensavano che si trattasse di un marocchino.

Uno dei motivi è che l'immigrato viveva con un marocchino, Mustafà El Melik, sposato con un'italiana, padre di un ragazzo arruolato nell'esercito, ben radicato sul territorio, un suo cognato è uno dei responsabili della Moschea di Bellizzi, il paese dove l'algerino è poi stato bloccato. E sarebbe stato proprio El Melik a far scattare il meccanismo che ha poi portato all'arresto: avrebbe preso casa con Djamal Ouali, facendo poi alla Questura la prevista «dichiarazione di ospitalità».

Per ora Mustafà non è a Montecorvino: lavora nel commercio e quindi è spesso lontano. Ma è probabile che nelle prossime ore gli inquirenti vogliano ascoltarlo. Per ora hanno setacciato la casa di via Calabritto. Nessuno si sbilancia nemmeno sulla sorte toccata alla moglie: qualcuno racconta di averla vista ancora in paese dopo l'arresto del marito, altri la danno per dispersa. Tutti la descrivono come una persona discreta e riservata. Come del resto era anche lui, l'algerino.

«Era arrivato, spiega Paolo, con una Opel station wagon bianca con una targa straniera, a me sembrava rumena, ma di più non saprei dire». Qualcosa di sospetto, però, era stato notato: «Qualche sera fa racconta Paolo - uscendo di casa mia moglie aveva visto due persone chiuse in macchina e aveva avvertito i carabinieri: non si trattava di malviventi, però, ma di inquirenti che facevano un appostamento». Ironia della sorte, nella casa di via Calabritto qualche giorno fa erano arrivati i vigili urbani proprio per un accertamento dovuto alla richiesta di residenza. Mustafà, che l'aveva presentata, non era in casa, e i caschi bianchi avevano parlato con Ouali: «Sono in Italia per fare del turismo, sono ospite di un amico, tra qualche giorno andrò via».

Gli algerini ci sono, ma sono una minoranza. Rashid Bensani è uno di loro: ingegnere, è arrivato come bracciante, ma ha trovato lavoro in un centro ittico. Sposato con figli, segue il settore immigrati per la Cgil. «Adesso siamo duecento e ci conosciamo tutti. Di Djamal Ouali, però, fino al momento dell'arresto nessuno aveva mai sentito parlare».

Era un falsario legato al terrorismo? Saranno le indagini a chiarirlo. Per ora da Bruxelles insistono: «È stato lui a creare le identità false degli autori delle stragi». Certo è che il commercio dei documenti è uno di quelli più fiorenti tra i tanti che producono soldi con la tratta degli esseri umani. Un passaporto falso serve ai terroristi, ovviamente, ma anche ai tanti disperati che arrivano in fuga dalle guerre o da quel nemico altrettanto brutale che si chiama fame. Un passaporto vale molto, innanzitutto perché i trafficanti spesso sequestrano quelli degli schiavi che portano in Europa a peso d'oro. Diecimila dollari, se va bene, e la consegna dei documenti che possono poi essere rivenduti ad altri poveri cristi. O magari a un kamikaze pronto a farsi saltare. 

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