Sara Tommasi e il surreale pornoprocesso. Accuse di violenze, il pm chiede la misurazione del pene

Sara Tommasi e il surreale pornoprocesso. Accuse di violenze, il pm chiede la misurazione del pene
di Marco Ciriello
Mercoledì 30 Dicembre 2015, 08:57 - Ultimo agg. 22:06
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 Nel mondo pavloviano del porno c’è una novità che trascina la trama, gli attori e la troupe di «Confessioni private» in un corto circuito che dribbla Boccaccio, passa da Brancati e arriva in un tribunale di Salerno. Sara Tommasi – una donna che incarna il principio enunciato da Carmelo Bene: «essere poco presente a se stessi»; improvvisata attrice porno, sull’onda di una serie di non indimenticabili performance che la vedevano partire da Miss Italia, laurearsi alla Bocconi, studiare recitazione (con poco profitto) e soprattutto aggirarsi nuda ovunque da un mucchio di programmi televisivi fino a casa Berlusconi - è riuscita nell’intento di sovvertire la ripetitività dei film porno.

Il suo essere eternamente sprovveduta, fino allo stato confusionale, mancando di esperienza e anche di vocazione da Bocca di Rosa, nonostante gli sforzi ha generato un problema nell’attore che avrebbe dovuto prendersi cura del suo corpo, trascinandolo in una parabola rivoluzionaria per le regole dei film hard: ha chiesto di essere sostituito, e non trovandosi altri volontari, si è sacrificato un cameraman, che sarebbe andato oltre la finzione, violentando Sara Tommasi. Da qui la disposizione da parte della pm Elena Guarino, appartenente alla Procura di Salerno, di eseguire una perizia-confronto sul pene dell’attore protagonista e su quello del cameraman che lo sostituì, confrontandoli con le immagini, per capire da parte di chi ci sarebbero state le presunte violenze. È tutto così surreale da diventare un’altra trama, con un cameraman che forse come il Woody Allen più visionario quando sentiva Wagner gli veniva voglia di invadere la Polonia, che avrà talmente tante volte assistito all’invasione che poi l’ha messa in pratica con troppo impegno, superando la finzione che l’arte richiede.

Come l’attore che si sottrae alla parte perché sente traditi il suo impegno e la sua esperienza. In mezzo la confusa Tommasi che già in passato ha regalato scarse trame alla Philip Dick: le sarebbe stato impiantato un microchip nel corpo, che poi è causa di tutti i suoi disturbi, che l’ha portata a un ricovero in clinica e all’abuso di psicofarmaci. Quindi dal microchip si arriva alla «Ciociara» in un giro di camera, con un ricorso compulsivo ai tribunali – già in passato aveva fatto condannare un produttore di film porno. Si potrebbe, attraverso il corpo di Sara Tommasi, riassumere molto del nostro Paese e delle ossessioni che lo attraversano, in un corto circuito diarchico: pubblico/privato – professionisti/società civile, che si confondono e mischiano, fino a sovvertire anche uno dei pochi campi lavorativi dove il merito è innegabile: quello del porno. In una degenerazione con aggiunta di repressioni violente che diventa la chiave del merchandising contemporaneo, dove la merce – in una declinazione occidentale – è il corpo, usato non per fame ma per fama. Facendo coincidere in una sola inquadratura: ethos, ethnos ed eros. Tirando fuori la vocazione condominiale che l’Italia da sempre si tira dietro e che ormai domina tutto: dai romanzi ai partiti.

Sara Tommasi incarna la parte debole e confusa di questa vocazione, porta se stessa fino all’estremo – pagandone le conseguenze – e ci costringe a guardare l’aspetto misero e ridicolo di chi non ha attitudini ma solo derive. In un tempo logoro, rifà Boccaccio senza stile, privo di erotismo e incapace di generare la curiosità che il sesso chiede; passa da Brancati ma non riesce a fasciare la carne né il desiderio, divenendo scarno pruriginoso racconto di tribunale; e si assesta in una zona di gioco al ribasso dove l’iconografia più azzeccata è lo stereotipo.

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