L'Orchestra napoletana di jazz
riunisce gli americani di Partenope

Maria Pia De Vito, Meg e Raiz sul palco di Pomigliano jazz (foto di Pino Miraglia)
Maria Pia De Vito, Meg e Raiz sul palco di Pomigliano jazz (foto di Pino Miraglia)
di Federico Vacalebre
Martedì 7 Gennaio 2014, 16:03 - Ultimo agg. 16:29
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E' uscito a fine anno scorso, questo In concerto, primo album dell’Orchestra Napoletana di Jazz, sembra fatto apposta per essere ascoltato dopo il clamore e le emozioni dei cinque giorni di Pino Daniele & Friends. Se l’eco della maratona di canzoni e degli applausi dei ventimila del Palapartenope non si sono ancora spenti, se la rete pullula di commenti, mi piace, fotografie e video testimonianza di un concerto grosso per presenze, e ancor pi per repertorio e filosofia, questo cd pubblicato da Itinera, etichetta nata da una costola di quel Pomigliano Jazz Festival che sull’Ondj punta da anni, sembra fatto apposta per ribadire il filo rosso (ri)tessuno dal Nero a Met e dai suoi amici. Non è un caso che, insieme ad una complessa quanto profonda pagina introduttiva che arriva sino a «Si vide l’animale» da «I dieci comandamenti» di Raffaele Viviani, l’episodio più importante sia «Lazzari felici» del cantautore napoletano, nè che subito dopo arrivi «Nun te scurdà» con Raiz tra gli ospiti, del disco come delle prime due edizioni di «Napule è - Tutta n’ata storia». Convinzione di Onofrio Piccolo, direttore artistico della kermesse di Pomigliano, come di Mario Raja che dirige l’Ondj, è - ci si perdoni il gioco di parole - che un’orchestra napoletana di jazz non possa suonare i soliti standard, ma debba essere, appunto, un’orchestra di jazz napoletano, approfittando delle intuizioni di alcuni solisti come Marco Zurzolo («Ex voto») e Maria Pia De Vito («Scugnizzeide»), prontamente coinvolti, ma soprattutto di un repertorio, di uno stile compositivo che, dai classici a «Carmela» (Bruni/Palomba) e «Fatmah» (di nuovo gli Almamegretta) conta in fondo più affinità che fratture, nella capacità di mettere a disposizione dei suoni del mondo le proprie radici antichissime.

La capacità di improvvisare, come anche di far esplodere il richiamo delle sezioni di fiati, viene esaltata da Raja soprattutto nei canti liberi vivianei e danieliani, trova nella De Vito un’ugola perfetta, in Raiz toni carnali e profondi, in Meg una complice meno indovinata, magari per colpa della scelta di un brano, «Distante», che esula dal discorso sonoro scelto.

Un discorso testato anche nell’ultima edizione itinerante del Pjf con un Archie Shepp condotto sino ai lidi di «Torna a Surriento», ma sperimentata finora anche con Joe Lovano, Arto Lindsay, Richard Galliano, Randy Weston, Don Moye, per non dire dell’elettronica di martux_m. Registrato dal vivo, il disco raccoglie momenti del Pomigliano Jazz Festival (edizioni 2008 e 2011) e di Ischia Jazz 2008. Con qualche alternanza, riascoltiamo così insieme un ensemble composto da Annibale Guarino, sax alto e soprano; Marco Zurzolo sax alto; Giulio Martino sax tenore; Enzo Nini sax tenore; Nicola Rando sax baritono; Matteo Franza tromba; Marco Sannini tromba; Gianfranco Campagnoli tromba; Roberto Schiano trombone; Alessandro Tedesco trombone; Lello Carotenuto trombone; Pietro Condorelli chitarra; Luigi Vitale vibrafono; Pasquale Bardaro vibrafono; Andrea Rea pianoforte; Aldo Vigorito contrabbasso; Peppe La Pusata batteria; Salvatore Tranchini batteria.

Qualche anno fa, tra tante manifestazioni durate poco e spesso finanziate molto, la Provincia inventò un Circuito dei festival del jazz, obbligati dal bando di richiesta di fondi a ospitare l’Ondj. Oggi che la gran parte di quei festival sono morti, falcidiati dai tagli alla cultura come dagli avvicendamenti alla guida delle istituzioni che li sovvenzionano, sarebbe bello che la Regione, unica fonte di sostentamento pubblico ancora accessibile e pagante, senza nuove imposizioni calate dall’alto, consideri l’Orchestra Napoletana di Jazz come una realtà concreta e importante: il trentennale dalla scomparsa di Eduardo, il Forum delle culture (se mai ci sarà davvero) potrebbero avere bisogno di un’orchestra di napoletani che sanno fare gli americani più delle solite formazioni pseudoclassiche senza alcuna originalità.

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