Edoardo Leo al Nest di San Giovanni a Teduccio tra gli «spacciatori di cultura»

Edoardo Leo
Edoardo Leo
di Luciano Giannini
Venerdì 8 Aprile 2022, 13:57 - Ultimo agg. 15:58
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Andare al Nest di San Giovanni a Teduccio, come farà questa sera, tra i «pusher di cultura» e non di droga, nella difficile periferia di Napoli, per un attore o un regista è un atto politico; è proporsi in un teatro da cento posti consapevole del lavoro civile e sociale svolto tra la gente del quartiere (soprattutto i giovani) dai suoi artefici, Francesco Di Leva, Adriano Pantaleo, Giuseppe Miale Di Mauro e Giuseppe Gaudino. 

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È vero, Edoardo Leo?

«Il teatro è sempre politico.

Quando Adriano mi ha invitato non ho esitato un secondo. Vengo a raccontare la mia esperienza, con la speranza che il teatro possa salvare un po’la vita, non importa se sia amatoriale o professionistico».

Lei è attore e regista (il suo «Lasciarsi un giorno a Roma» è passato con successo su Sky e, poi, nelle sale), e gli impegni di set la impegnano molto. Eppure è qui.

«Non abbandono mai il palcoscenico; lo considero un dovere sociale. Il rapporto diretto con il pubblico crea quell’incontro che sta alla base dell’idea di comunità, in cui riconosciamo la nostra identità. Ormai sono quasi 30 anni che faccio questo mestiere e proprio con il teatro cominciai, nel ’93, da autodidatta. Al Nest, sollecitato, spero, dalla platea, racconterò come in quella bolla di sospensione dalla realtà che è la scena si possa trovare una ragione di vita».

Quali domande le piacerebbe ricevere?

«Appassionato come sono dalle biografie, vorrei parlare di questi miei 30 di carriera, e di quanto sia importante la gavetta, quanto siano faticosi, ma cruciali, i sacrifici. Io ne ho fatti davvero tanti».

Il 21 aprile compirà 50 anni. Guardandoti indietro chi vede per confrontarlo con l’Edoardo di oggi?

«Mi volgo avanti, non dietro. Non amo i bilanci, non mi piace specchiarmi in me stesso. Tento di fare con passione e onestà quello che faccio, scrivere, girare, recitare... in fin dei conti non sono diverso da ciò che ero».

Il suo maestro è stato Gigi Proietti, al quale ha dedicato anche un documentario, «Luigi Proietti, in arte Gigi». Qual è stata la più importante lezione che ha ricevuto da lui?

«Il rispetto per il pubblico. L’ho visto, a 78 anni, fare spettacoli di tre ore senza risparmiarsi. Ecco... Gigi sarebbe venuto qui al Nest con molto piacere a raccontarsi. Del teatro ha fatto il perno della vita. Perciò, nonostante gli impegni, lascio tutto, prendo un treno e scendo giù, a Napoli. E, il giorno dopo, ne prendo un altro, in fretta per tornare a casa».

Com’è andato «Lasciarsi un giorno a Roma»?

«Bene, considerando il periodo complicato che attraversiamo. Ha seguito il percorso inverso rispetto a quello abituale: dopo il passaggio sulle reti Sky, è stato distribuito nelle sale».

Il tema dei rapporti umani è al centro dei suoi film.

«Sì. “Diciotto anni dopo” fa luce su quelli tra fratelli; “Buongiorno papà” riflette su padre e figli; “Noi e la Giulia” sull’ amicizia; “Smetto quando voglio” esplora le relazioni al tempo del web. Vede... quando creo una storia per trarne un film, mi chiedo innanzitutto: se leggessi questa trama, andrei a vederlo? Voglio dire che evito le idee... come dire... furbette. Penso sempre e prima di tutto allo spettatore e al suo possibile interesse».

Progetti?

«A teatro continuerò a propormi in “Ti racconto una storia”, ovviamente aggiornato. Al cinema, il 19 arriverà nelle sale “Power of Rome”, di Giovanni Troilo, dove vago per la città eterna osservandola con occhi nuovi. Nel corso dei prossimi mesi, poi, usciranno “Era ora”, commedia di Alessandro Aronadio, dove sono alle prese con un problema stravagante, quello di avere un pessimo rapporto con il tempo; poi, Gianni Zanasi mi ha diretto nel folle e surreale «War - La guerra desiderata»; infine, un dramma, “Mia”, con la regia di Ivano De Matteo».

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